Fumata nera all'ex Ilva, Arcelor non cede

Affidato a Bernabè un tentativo di accordo in extremis con Invitalia. Servono subito 380 milioni

Fumata nera all'ex Ilva, Arcelor non cede
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Nulla di fatto e nuovo rinvio a martedì 28 novembre. L'assemblea di Acciaierie d'Italia che avrebbe dovuto partorire una definitiva soluzione per l'ex Ilva resta aperta. Dopo oltre 3 ore di confronto, il nuovo faccia a faccia tra i soci - Invitalia (38%) e Arcelor Mittal (62%) - non ha prodotto risultati se non quello di prolungare l'uscita di scena del presidente di AdI, Franco Bernabè. Secondo fonti vicine al dossier, nel corso dell'assise andata in scena nella sede milanese del gruppo (presenti l'amministratore delegato di Acciaieria d'Italia, Lucia Morselli, i vertici di Mittal e i rappresentanti di Invitalia), il presidente che aveva rimesso il mandato nelle mani dei soci avrebbe accettato la richiesta di prorogare la propria permanenza congelando le dimissioni. «Bernabè resti ancora in campo per cercare una soluzione tra le parti», sarebbe stata la volontà espressa dagli azionisti. Resta dunque, apparentemente, una certa distanza tra i soci che oggi avrebbero dovuto definire il proprio impegno finanziario in conto aumento capitale. Ma uno spiraglio non mancherebbe all'orizzonte. Tuttavia, per ora sembrerebbe ancora lontana la fumata bianca.

Conti alla mano, circa 380 milioni servono subito per portare avanti l'attività e soddisfare una parte dei creditori, a cominciare da Snam che a partire da gennaio potrebbe interrompere la fornitura di gas. Ma per avviare il piano industriale e dare un futuro al gruppo, servono (stando al Mou di siglato a settembre con il ministro Raffaele Fitto) quasi 4,6 miliardi che avviino la decarbonizzazione del sito e il revamping dell'altoforno 5. Lo Stato dovrebbe finanziare una cifra di poco superiore ai 2,2 miliardi di euro, mentre al socio privato spetterebbe l'impegno di oltre 2,3 miliardi. Secondo Fitto, il governo è intenzionato a reperire tali risorse attraverso i fondi stanziati dal RePowerEu, ma il socio privato? Secondo indiscrezioni il punto di rottura resta questo: le risorse private.

«Il rinvio è frutto dello stallo tra governo e Arcelor Mittal perché il punto è sempre lo stesso: chi mette le risorse finanziarie. Questo perdere tempo è scaricato sulla pelle dei lavoratori e fa danno alla stessa azienda, all'ambiente e alla produzione. L'assemblea dei soci del più grande impianto siderurgico di Europa discute di 320 milioni della bolletta e non trova una soluzione quando servirebbero 5 miliardi per rilanciare produzione occupazione e ambiente», dichiara Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. «C'e il rischio sempre più concreto di cessazione, invece che di transizione, degli stabilimenti» gli fa eco Michele De Palma della Fiom.

L'assemblea dei soci è stata preceduta ieri mattina da un presidio di operai provenienti da tutti gli stabilimenti di Acciaierie d'Italia, organizzato da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm davanti alla sede della società, in viale Certosa, a Milano.

«Troppi soldi pubblici ha denunciato Valerio D'Alò, responsabile nazionale siderurgia della Fim - sono stati dati dal socio di minoranza che fa gestire l'azienda al socio di maggioranza, non vincolato o responsabilizzato per nulla».

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