Avanti di questo passo, e il Selbstmord sarà inevitabile. A furia di praticare quell'austerità che deriva dall'aver fuso, con impeto calvinista, debito e colpa in un'unica parola («Schuld»), la Germania si sta stringendo da sola il cappio attorno al collo. Un suicidio - «Selbstmord», appunto - compiuto da chi non pare essersi accorto di come la dottrina ordoliberista di Walter Eucken sia stata da tempo messa alle corde: prima dal protezionismo americano targato Trump; poi da una Cina sempre più assertiva; e infine dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia che ha spezzato il sogno tedesco di usare il commercio come grimaldello della pacificazione.
Non è quindi certo un caso se, vent'anni dopo, la Germania stia rischiando di essere di nuovo la malata d'Europa. Sono indicatori congiunturali sempre più inquietanti a certificarlo, l'ultimo dei quali è il crollo mensile (-3,4%) subìto dalla produzione industriale in marzo che fa seguito alla picchiata degli ordini (-10,7%) sempre nello stesso mese. Il motore del Paese si sta dunque inceppando al punto di rendere improcrastinabile l'appuntamento con la recessione, evitata per il rotto della cuffia nel primo trimestre (crescita zero, dopo il -0,5% del periodo ottobre-dicembre 2022). Soprattutto se le esportazioni batteranno in ritirata andando a sottrarre forza al Pil, come già successo in seguito al calo della spesa pubblica e dei consumi interni. Quest'ultimi sono stretti in una duplice morsa: da un lato fanno i conti con un'inflazione elevata (7,2%), dall'altro con i sette rialzi dei tassi decisi dalla Bce. Cinghia tirata, quindi. Un'austerity auto-imposta almeno fino a quando non si sarà esaurita l'intera tornata di rinnovi contrattuali, quella temuta dall'Eurotower di Christine Lagarde poiché potrebbe innescare la famigerata spirale prezzi-salari, ma ancor più dalla Bundesbank di Joachim Nagel dopo i recenti aumenti salariali ottenuti dai 2,5 milioni di dipendenti statali.
Qualche flebile voce, come quella dell'europarlamentare verde Rasmus Andresen, si è levata per ricordare che «la politica troppo aggressiva della Bce e gli scarsi investimenti pubblici stanno danneggiando il nostro sviluppo economico». I ponti fatiscenti, i ritardi accumulati nell'implementazione della fibra Internet e delle reti mobili e una rete ferroviaria da primo '900 sono infatti il post-it flou che ci ricorda come la Germania non sia il Paese speculare alle sue auto di lusso, ma un posto reso obsoleto nei suoi gangli vitali dal braccino corto di Berlino. Eppure, malgrado lo sgretolarsi di antiche certezze, il ministro dell'Economia Christian Lindner non ha abiurato il liberismo in salsa euckeniana.
Anziché mettere in discussione lo «Schuldenbremse», cioè il divieto di contrarre nuovo debito, vorrebbe imporre una riforma-tagliola del Patto di stabilità basata sulla diminuzione del rapporto debito-Pil di almeno un punto percentuale all'anno per gli Stati membri con un debito elevato, come l'Italia. Davanti alla proposta più flessibile della Commissione Ue, l'epigono di Wolfgang Schaeuble si è già messo di traverso. Mostrando così di voler trasformare l'Europa nella terra del «Selbstmord» collettivo.
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