I giovani sotto i 34 anni sono quelli più colpiti dalla disoccupazione. Dal 2008 "si sono persi oltre un milione di occupati" in questa fascia d'età, "solo parzialmente compensati dalla crescita dell'occupazione di età superiore".
Il Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012, pubblicato dal Cnel, il cui contenuto è stato anticipato questa mattina dal Corriere della Sera, illustra la situazione occupazionale del Paese e permette di tirare qualche conclusione.
In dieci anni l'Italia ha perso il 20% della competitività rispetto al resto dell'Eurozona, scivolando all'ultimo posto tra le grandi economie del mondo. Il declino del Paese si può risolvere con riforme strutturali, che lo studio suggerisce e interventi su salari e produttività. E se i risultati non sarebbero "così sfavorevoli" - gli effetti della recessione non si sono ancora fatti sentire - uno dei dati più preoccupanti è però proprio quello relativo ai giovani.
Studio e lavoro
Solo il 10% (tra 20 e 24 anni) abbina un'esperienza lavorativa allo studio. La percentuale raggiunge il 50% in Germania, il 25% in Francia, addirittura il 60% in Danimarca. Superiore all'Italia anche la Spagna (20%). E lo studio sottolinea che laddove si è "da sempre sostenuto un mix di istruzione e lavoro (si pensi ad esempio ai Paesi scandinavi oppure a Germania, Austria e Svizzera) si sono registrati livelli di disoccupazione giovanile più bassi e la transizione scuola-lavoro tende ad avere tempi più brevi".
Lavoro, ma non faccio quello che vorrei
5,2 milioni di lavoratori tra i 15 e i 64 anni (ovvero uno su quattro) sono occupati in mansioni che non rispecchiano il proprio livello d'istruzione. Il dato scende a uno su tre se si parla di giovani. E questo "sottoutilizzo" porta centinaia di giovani a scegliere "le università del mondo anglosassone", mentre "molti posti di lavoro vengono coperti dagli stranieri". In sostanza "siamo sempre più un'economia che perde lavoratori qualificati ed attrae dall'estero lavoratori con qualifiche basse".
Cervelli in fuga
La mancanza di richieste per "posti di lavoro qualificati" porta sempre più giovani a cercare una prospettiva di vita all'estero. I cervelli in fuga, dal decennio precedente, sono aumentati notevolmente. Se tra il 1992 e il 2000 circa 100mila italiani sceglievano di emigrare, dal 2000 in poi "la media è di circa 200mila, e "i numeri reali sono sicuramente superiori perché molti non segnalano lo spostamento di residenza, almeno in una prima fase".
Un problema collegato a questo è la "mancata corrispondenza tra le competenze richieste dal sistema imprenditoriale e gli indirizzi di studio seguiti da chi si presenta sul mercato del lavoro".
Lavoro temporaneo e inattivi
A preoccupare è anche il fatto che "l'occupazione a termine abbia ridimensionato il suo ruolo di trampolino o comunque passaggio per entrare nell'occupazione permanente e abbia invece creato un segmento a sé stante di occupati".
Prima della crisi il 29% degli occupati a termine cambiava contratto entro l'anno successivo, mentre "ora questo vale per il 23% dei temporanei".
In forte aumento anche quella fetta di persone che "non hanno un'ocupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in
formazione". Sono il 24% tra i 15 e i 29 anni, mentre la media europea non supera il 15,6% e il dato tedesco si ferma all'11%. L'inattività interessa più di due milioni di giovani. Sei su dieci sono "inattivi" o "scoraggiati".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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