I fondi alzano la posta sulla sostenibilità "Prima ci sono i profitti"

Unilever nel mirino, gli investitori vogliono che il business torni a essere la priorità

I fondi alzano la posta sulla sostenibilità "Prima ci sono i profitti"

La sostenibilità va bene purché faccia crescere i profitti. In Italia non passa giorno senza che qualche azienda annunci la trasformazione in società benefit (l'ultima è stata Fastweb), ovvero una impresa che si propone come obiettivo anche quello di ottenere un impatto sociale e ambientale positivo; all'estero invece alcuni fondi iniziano a puntare il dito contro casi di eccessiva attenzione ai temi del green e dell'inclusione sociale a discapito degli utili.

Insomma, tutti d'accordo a difendere i temi Esg (acronimo di environment, social and governance) fintanto che si tratta di parole, poi però per molti torna in auge la teoria di Milton Friedman per cui la sola responsabilità sociale di un'azienda è quella di produrre profitti. Contemporaneamente, tuttavia, i sostenitori dell'investimento verde si stanno polarizzando, combattendo su due campi di battaglia: in tribunale e in azienda.

Ad accendere gli animi è stata in queste ore la presa di posizione di Terry Smith, fondatore di Fundsmith Equity Fund, contro Unilever di cui il fondo è tra i primi dieci investitori. Il colosso dei beni al consumo è stato accusato di aver perso di vista i profitti per inseguire le tematiche Esg sotto il mantra buono e giusto. «Unilever è penalizzata da un vertice ossessionato dalla volontà di evidenziare pubblicamente le credenziali di sostenibilità a spese dei fondamentali del business», scrive Smith nella lettera agli investitori. E la campagna contro lo spreco alimentare di Hellmann, a giudizio del fund manager, ne è l'esempio. Il brand Hellmann esiste dal 1913, possiamo dedurre che «i consumatori siano riusciti a individuare lo scopo del marchio», nota Smith.

Un anno fa i fondi attivisti Bluebell Capital Partners e Artisan Partners avevano attaccato Emmanuel Faber, l'ad di Danone dal 2014 sotto cui l'azienda era diventata impresa benefit, per non essere riuscito a bilanciare gli interessi degli azionisti con la sostenibilità. La riprova? La performance, ironia della sorte, di Unilever. Eppure, Bluebell da settembre 2020 sta chiedendo la rimozione di Ilha Kadri, ad di Solvay, per non aver fermato lo sversamento in acqua di residui della lavorazione della soda da parte dello stabilimento di Rosignano.

Su sponde green si sono schierati il fondo attivista Engine 1 che ha fatto nominare nel cda di Exxon Mobil tre suoi candidati partendo da una quota minuscola e il tedesco Enkraft, entrato in Rwe per spingere il gruppo a separare le attività nel carbone. Numerosi poi gli istituzionali che evidenziano le proprie politiche di investimento Esg. Nell'ultimo Climate Impact Pledge, ad esempio, Lgim dice di aver effettuato azioni di sprono in mille aziende, di aver espresso 130 voti contrari in assemblea e di aver previsto quattro disinvestimenti. Finora, tuttavia, la messa in vendita da parte dei fondi di partecipazioni in contrasto con gli standard Esg resta un'eccezione.

È inoltre partita da Amsterdam la campagna di Friends of the Earth che ha chiesto a trenta multinazionali (tra cui Klm, Ing, Unilever, Bp, ExxonMobil, Abn Amro e Ahold Delhaize) di dettagliare entro il 15 aprile i passi concreti per la riduzione delle emissioni a livello globale, minacciando, in caso contrario,

il ricorso a vie legali. E l'esito potrebbe non essere scontato visto che lo l'associazione ha vinto all'Aia una storica causa, la prima contro un'azienda privata in relazione al climate change, contro Royal Shell Dutch.

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