I giudizi delle agenzie di rating sullo stato di salute di un Paese hanno un peso. Influenzano moltissimo. I mercati ne tengono conto. Forse qualche ripensamento complessivo su tale "influenza" andrebbe fatto.
Per mia forma mentis con nulla ho un rapporto fideistico e quindi figurarsi verso le valutazioni che esprimono queste società private (controllate da multinazionali, occorre ricordarlo) in merito alla solvibilità o meno di chi emette titoli sul mercato finanziario. Visto che si tratta di temi particolarmente delicati. E visto che in passato qualche pericoloso scivolone lo hanno fatto, solo per riferirmi al dolorosissimo Crac Lehman Brothers. Ma tant'è.
In questi giorni due delle tre sorelle del rating hanno fatto conoscere la loro sull'Italia. Per Fitch l'outlook è migliorato, vale a dire da stabile a positivo. Per Standard & Poor's il giudizio si è mantenuto su «stabile». In ogni caso per entrambe le prospettive dell'economia italiana sono più a tinte rosee rispetto al passato, pur constatando l'annosa spada di Damocle del debito pubblico che permane assai elevato con le conseguenze che i cittadini/contribuenti conoscono bene (oltre cinquantamila euro per abitante). Questa, in estrema sintesi, la pagella di merito.
Non c'è da esaltarsi ma neppure da deprimersi. L'Italia in questo momento gode di una buona credibilità. E questo è un segnale di cui tener conto e che andrebbe posto in risalto come merita. Invece, al riguardo, bisogna rilevare una certa timidezza da parte di molti mezzi di informazione.
Come se, ancora una volta, abbia prevalso una logica di schieramento per cui se le cose funzionano abbastanza bene ma l'esecutivo non corrisponde all'orientamento ideologico del media, alla notizia viene messa la sordina; certo, non è possibile non darne conto, allora la si sgonfia, collocandola nelle retrovie. Depotenziandola. A proposito di forma mentis, e di rapporto fideistico con la realtà.
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