"Un inganno la pubblicità di Barilla"

Si moltiplicano le proteste contro la società di Parma. Negli Usa consensi alla class action

Uno stabilimento Barilla in Italia
Uno stabilimento Barilla in Italia

Non si placano le polemiche nei confronti della multinazionale italiana della pasta e delle merendine, il Gruppo Barilla. Bisogna tornare al 2013, per registrare un tale clima intorno alla società di Parma. Allora la causa scatenante fu un'infelice battuta di Guido Barilla che si lasciò scappare che in Casa Barilla, per estensione la Casa degli Italiani, non ci sarebbe stato mai posto per le coppie gay. La polemica è stata recentemente rilanciata da alcuni blog americani. Seguì una precipitosa ritrattazione, con relativo pellegrinaggio fra le comunità gay degli Stati Uniti (mercato estero privilegiato della Barilla) per spiegare lo scivolone. Questa volta non si tratta perlomeno non ancora di una sollevazione che muove dal basso, dall'opinione pubblica, ma di iniziative diverse che hanno come protagonisti esponenti dei movimenti consumeristici, attivisti del cibo locale, sindacalisti, rappresentanti dei produttori agricoli, ambientalisti.

Prima si è mosso il Codacons con un esposto che evidenzia come «la pubblicità di Barilla, pubblicata in occasione della Giornata mondiale dell'ambiente, potrebbe risultare ingannevole in quanto afferma che Barilla utilizza 390mila tonnellate di grano duro coltivato in modo responsabile e che ha investito 7 milioni per migliorare gli impianti. Affermazioni tutte non sono supportate da dati facilmente accessibili. Il QR code rimanda a un rapporto di oltre 100 pagine, rendendo difficile per il consumatore medio verificare queste affermazioni». Di qui all'esposto formale il passo è stato breve, «perchè l'Agcom deve indagare sulla veridicità delle affermazioni fatte da Barilla e, se necessario, imporre le sanzioni appropriate». Consequenziale la richiesta di sospensione della pubblicità fino a chiarimento. A sua volta Adusbef ha presentato un reclamo verso il gruppo su un tema analogo, lamentando ancora mancanza di trasparenza, come dichiarato dal presidente Tanza: «L'Antitrust deve vietare l'uso della dicitura Pesto alla Genovese da parte della Barilla. L'etichetta può indurre i consumatori a credere che il prodotto sia fatto con basilico genovese Dop, un ingrediente che conferisce caratteristiche specifiche e di alta qualità al prodotto. Tuttavia, analizzando la lista degli ingredienti, risulta che il basilico utilizzato è indicato solo come fresco e non come basilico genovese Dop». A margine del Fancy Food di New York è rimbalzato nel frattempo un intervento dello studioso di sistemi del cibo locale Richard McCarty, che sul suo seguitissimo blog ha richiamato la class action intentata in California contro Barilla per aver sostanzialmente asserito essere italiana la pasta prodotta negli stabilimenti Barilla situato nello Iowa.

Ma non sono solo i consumatori ad attaccare Barilla, si muovono infatti anche organizzazioni di rilievo quali Coldiretti e Filiera Italia, che, attraverso rispettivamente il presidente Ettore Prandini e l'ad Luigi Scordamaglia, accusano Paolo Barilla in quanto presidente di UnionFood, di aver affermato cose non vere dicendo che il 70% della produzione agricola italiana è trasformata da aziende aderenti ad UnionFood. «Nel migliore dei casi, non più del 20% della produzione agricola viene trasformata dalle imprese di UnionFood, mentre il restante 80% con tale associazione non ha nulla a che fare», osserva Prandini. Aggiunge Scordamaglia: «Il dato del resto appare abbastanza ovvio, considerando che i soci principali di UnionFood sono le multinazionali globali dei cibi ultraprocessati che di produzione agricola italiana trasformano quantità irrisorie». Accuse altrettanto dure arrivano infine dal mondo ambientalista ed in particolare da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, che, si scaglia duramente contro Mediterranea, l'Associazione lanciata con enfasi da Paolo Barilla insieme al presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti. «Trovo scandaloso ha dichiarato Realacci a margine della presentazione del rapporto Piccoli comuni e tipicità che il nome Mediterranea sia usato da soggetti che non hanno pressoché nulla a che fare con l'autentica Dieta Mediterranea. È un imbroglio, un'autentica truffa».

Tanta durezza non si era mai sentita, considerando che Barilla è la flagship dell'industria agroalimentare italiana. Ma più che gli attacchi diretti, colpisce lo smarrimento dei vertici Barilla, segnatamente i membri della famiglia (rilasciano interviste che non dicono nulla). La sensazione prevalente negli ambienti industriali è che sedotti dall'amico americano, la famiglia parmense ha perduto il tocco magico che fu del patriarca, la sua forza, e con essa la sua intoccabilità.

Altrove si sottolinea invece come la scelta di appaltare a un gruppo di multinazionali il patrimonio evocativo della dieta mediterranea, sia stato un drammatico errore. Analisti e studiosi del settore si limitano a dire che «contro i contadini non si governa». Finora lo scontro è ai piani alti della comunicazione, ma presto potrebbe arrivare sulle tavole dei consumatori.

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