Intesa-Ubi, la sfida tra i nuovi salotti

Il principale istituto italiano con Mediobanca e dall'altra parte il "network Erede"

Carlo Messina
Carlo Messina

Inizia oggi, per durare fino al 28 luglio, un'operazione finanziaria che fino a ora non si era mai vista: la proposta di acquisto lanciata da Intesa su Ubi Banca è la prima offerta bancaria ostile mai effettuata in Italia. Non è un caso, quindi, che sia stata preceduta da quattro mesi di schermaglie di tutti i tipi. Tanto da essersi via via trasformata nel detonatore di un passaggio epocale: il riallineamento dei salotti del potere finanziario secondo nuove geometrie, con le quali l'intero sistema, dall'economia alla politica, si prepara a fare i conti d'ora in avanti.

Carlo Messina, il ceo di Intesa, ha giocato le sue carte fin da subito in tandem con Mediobanca, advisor dell'operazione: un'alleanza inedita tra due mondi sempre schierati agli opposti. Mentre Ubi, che appariva vittima designata, è invece uscita dall'angolo grazie alla tela che il suo numero uno, Victor Massiah, ha tessuto insieme con Sergio Erede, potente avvocato d'affari contemporaneamente impegnato con Leonardo Del Vecchio nella scalata al 20% del capitale della stessa Mediobanca. A questi due poli si sono avvicinati in tanti altri: con Intesa e Mediobanca il mondo Unipol-coop di Carlo Cimbri e, naturalmente, Generali (di cui Mediobanca è primo azionista) che ha appena rilevato la maggioranza di Cattolica Assicurazioni, schierata fino a ora con i manager di Ubi Banca.

Ma quest'ultima ha trovato sulla sua strada la vicinanza di Unicredit (preoccupata per lo strapotere di Messina) e per l'appunto il network Erede, che porta in varie direzioni: oltre a Del Vecchio c'è anche il gruppo Rotelli, il principale ospedaliero privato italiano, presieduto da un partner di Erede, Angelino Alfano; e c'è pure il Corriere della Sera, conquistato da Urbano Cairo quattro anni fa con la consulenza dell'abile avvocato d'affari, sempre lui. In proposito, l'operazione Intesa-Ubi può segnare la rottura di Cairo con Intesa, istituto schierato al suo fianco nell'Opa su Rcs del 2016 (e tuttora creditore di una trentina dei 100 milioni di debito residuo del gruppo editoriale): finanza ed editoria vanno da sempre a braccetto nelle manovre dell'establishment nazionale ed è difficile non leggere l'intervento di Salvatore Bragantini, sul Corriere del 3 luglio scorso, come un duro attacco a Intesa e all'Ops su Ubi, sferrato proprio alla vigilia.

Se da un lato Messina avrà amaramente incassato le critiche del giornale «di casa», dall'altro si presenta all'inizio della partita di oggi con il colpaccio dell'ultim'ora. Le dimissioni di Mario Cera, tra i più strenui nemici dell'Ops su Ubi, dalla guida del Patto Car, fanno pensare che il fronte del no si stia spaccando. Il Car raccoglie il 19% di Ubi. Ma il presidente di Fondazione Monte di Lombardia (socio al 4,9% di Ubi e nel Car), Aldo Poli, proprio il 3 luglio ha aperto a una rivalutazione dell'Ops di Intesa. Il Monte, al pari della Fondazione Cuneo (che ha il 5,9%) hanno entrambe ingaggiato SocGen come advisor per decidere sull'offerta.

Le scelte patrimoniali delle Fondazioni, vigilate dal Mef, non possono rispondere a criteri non trasparenti e argomentati. E rinunciare all'Ops di Intesa potrebbe costare caro.

Da oggi iniziano le danze e c'è da scommettere che non mancheranno i colpi di scena.

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