I disoccupati in Italia alla fine di agosto erano poco meno di 2 milioni dei quali 785mila in età compresa tra i 15 e i 34 anni. Secondo il ministro del Lavoro, Marina Calderone, i posti di lavoro non coperti sarebbero addirittura un milione. La Cgia di Mestre si è domandata ieri come sia possibile la sussistenza di un simile paradosso.
In realtà la stima potrebbe essere arrotondata per difetto. Secondo i dati di settembre nel Sistema Excelsior-Unioncamere-Anpal, infatti, nel 2022 a fronte di 5,2 milioni di assunzioni previste dal sistema imprese-servizi-professionisti, oltre il 40% sarebbe risultato di difficile reperimento. Dunque, l'anno scorso sarebbero stati disponibili 2 milioni di posti di lavoro che per mancanza di candidati o scarsa qualificazione (così come per altri motivi). Insomma, la domanda che alla fine si pongono gli artigiani mestrini è più che legittima: perché la disoccupazione resta elevata (è superiore alla media europea) anche se, in teoria, il lavoro ci sarebbe? Perché il numero di posti vacanti resta sempre elevato anche se il numero degli occupati è a livelli record a quota 23,5 milioni di persone?
Basta guardare i dati Excelsior per osservare come le figure maggiormente richieste siano eterogenee: saldatori, medici di medicina generale, ingegneri elettronici, intonacatori, dirigenti d'azienda, meccanici, infermieri e tecnici manutentori. Non sono tutte posizioni per le quali sia richiesta una laurea, anzi. Dunque, se a settembre su 530mila offerte previste si registrava un 47,6% di difficoltà di reperimento, vuol dire che le esternalità negative del sistema formativo stanno mettendo in crisi la funzionalità delle aziende. Al Nord, ad esempio, l'anno scorso circa un posto su due rischiava di non trovare addetti (Bologna il capoluogo più in difficoltà con il 47,7%). Una tendenza che, a causa del trend demografico negativo, rischia di peggiorare ulteriormente.
Eppure ci sono dei segnali di vita che provengono dal mondo della formazione. Una ricerca della Fondazione Adapt in collaborazione con Intesa Sanpaolo ha evidenziato che i percorsi Its (istituti tecnologici superiori) svolti in apprendistato garantiscono agli studenti maggiore stabilità occupazionale, mentre forniscono alle imprese risposte ai fabbisogni. Gli Its registrano tassi di collocamento dei diplomati che si attestano attorno all'86% a 12 mesi dal conseguimento del titolo, e soprattutto il 93% di loro svolge un lavoro coerente con quanto studiato. Questi dati si confrontano con il 69,2% dei giovani che trovano un impiego al termine di una laurea triennale e del 72 ,1% al termine di una laurea magistrale. La ricerca condotta da Intesa Sanpaolo e Fondazione Adapt ha inoltre segnalato che le Fondazioni Its (enti costituiti dalle scuole con le imprese e le istituzioni del territorio; ndr) che erogano corsi in apprendistato hanno un tasso di placement dei diplomati ancora più elevato.
Eppure il numero di iscritti agli Its è di circa 25mila unità, mentre il numero di contratti di apprendistato siglati annualmente si attesta nell'intorno di quota 550mila. Migliorare i livelli occupazionali partendo dalla formazione è possibile.
Non a caso di recente il Consiglio dei ministri ha approvato un ddl del titolare dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, che a partire dal 2024-2025 istituisce la filiera formativa tecnologico-professionale proprio per potenziare l'occupabilità dei giovani. E, fatto non trascurabile, non si tratta assolutamente di una questione di salario minimo.
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