Questo rischia di essere un altro dei tanti paradossi all'italiana: l'invalido tra il 74 e 99% non avrà più diritto al proprio assegno di invalidità se lavora con una retribuzione di almeno 400 euro mensili.
"Decisione molto grave"
La comunicazione è arrivata dall'Inps nel Messaggio numero 3495 del 14 ottobre scorso. Quindi, da quel giorno l'Ente non eroga più i 287,09 euro mensili (per 13 mensilità) a chi svolge anche un lavoretto banale che consente, in ogni caso, di rientrare nel tetto annuo di 4.931 euro considerato assolutamente compatibile con l'assegno di invalidità. Il direttore generale dell'Inps, Gabriella De Michele, scrive infatti che "l'assegno mensile di assistenza di cui all'articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l'inattività lavorativa del soggetto beneficiario". Quindi niente assegno se c'è il lavoretto. Va sottolineato che la decisione dell'istituto di prevdienza sociale è dettato da alcune sentenze della Cassazione del 2018 e del 2019.
Le reazioni non mancano e sono già di un certo tenore. "Una decisione molto grave che colpisce i più fragili che hanno già pagato un prezzo alto in pandemia", hanno affermato Ezio Cigna e Nina Daita, responsabili Cgil per le politiche della previdenza e della disabilità. "Le attività di queste persone sono attività terapeutiche o formative e con piccoli compensi, che difficilmente superano il tetto previsto. Togliere l'assegno di invalidità alle famiglie è un atto ingiusto".
"Intervenire immediatamente"
Forti le reazioni anche del mondo politico: in prima linea c'è la sottosegretaria all'Economia, Maria Cecilia Guerra (Leu), la quale ha affermato che "si tratta di una situazione inaccettabile per più di una ragione": in questo modo, infatti, si rischia di costringere il disabile a non lavorare e rimanere inattivo con tutte le problematiche connsesse quali solitudine, maggiore povertà e la rinuncia ad un minimo di indipedenza economica maggiore. Come riporta Repubblica, la Guerra propone di "intervenire immediatamente per correggere l'equivoco creato dalla norma del 1971 e ripristinare la compatibilità sino ad ora ammessa".
Cosa dice la legge
Negli ultimi 50 anni, la legge è cambiata ma mai a favore di chi ne ha bisogno: la numero 118 del 1971, art. 13, stabilisce che "l'assegno è dovuto solo in caso di soggetti invalidi 'incollocati al lavoro'", in pratica iscritti nelle liste speciali di collocamento ma "per il tempo in cui tale condizione sussiste". Poi è arrivata la n.247 del 2007 che ha modificato la parola "incollocati" con una locuzione più esplicita: "che non svolgono attività lavorativa". La stessa Inps, con due messaggi del 2008 (il numero 3043 e il numero 5783) ammise che "l'esiguità del reddito impedisce di ritenere che vi sia attività lavorativa rilevante", quello che accade in un mondo civile: un lavoretto non stabile che non superi la soglia minima di reddito non è considerato ai fini dell'assegno di invalidità. Adesso, 13 anni dopo, la scelta clamorosa di cui abbiamo parlato prima.
In tutto questo mare magnum, come detto, ci si mette anche la Cassazione: due sentenze del 2018 e 2019 decisero che "il mancato svolgimento di attività
lavorativa è un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale" ma non tutela il disabile con il lavoro. Due verdetti che hanno guidato la decisione sulle nuove modalità di erogazione dell'assegno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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