A partire dal prossimo anno le pensioni contributive andranno incontro a mini-tagli causati dall’aumento della speranza di vita intercorso nel periodo compreso tra il 2016 e il 2018.
Secondo quanto riferito dal quotidiano Il Messaggero, la limatura degli assegni oscillerà tra lo 0,3% e lo 0,7%. Il decreto, firmato sia dal Ragioniere dello Stato che dal direttore generale delle Politiche previdenziali del ministero del Lavoro, è apparso anche in Gazzetta Ufficiale. Dal prossimo gennaio, quindi, saranno rivisti i coefficienti di trasformazione degli assegni pensionistici e i loro ammontare.
Se la speranza di vita ha generato un piccolo incremento, anche la variazione demografica, insufficiente a far scattare un incremento del requisito d’età per le pensioni di vecchiaia, sempre ferme a 67 anni, ha prodotto una variazione, seppur limitata, nei parametri impiegati per il conteggio contributivo relativo alle pensioni.
L’effetto principale? Tutti quelli che abbandoneranno il lavoro a partire dal 2021, a parità di età, dovranno fare i conti con una quota contributiva della pensione un po’ inferiore a quella di chi invece ha deciso di ritirarsi quest’anno. Scendendo nel dettaglio, l’impatto è minimo per chi ha il retributivo fino al 2011, ma più evidente per chi, al contrario, ricade nel sistema contributivo puro o nel misto.
Età e riduzioni
La revisione dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, ovvero della modifica degli assegni pensionistici, non è certo una novità degli ultimi anni. È prevista dalla legge Dini che, nel 1995, ha istituito il sistema contributivo. Ogni due anni scatta l’adattamento per "spalmare" la quantità di versamenti della carriera lavorativa di un lavoratore lungo la sua esistenza.
Detto altrimenti, se le statistiche parlano di un aumento della sopravvivenza, l’importo annuale delle pensioni calerà proporzionalmente, adeguandosi alle nuove aspettative di vita. In generale, i coefficienti cambiano in base all’età. Dal 2021, lasciare il lavoro a 57 anni, comporterà un coefficiente pari a 4,186%, ovvero l’equivalente di un divisore di circa 24. Quest’ultima cifra rappresenta gli anni teorici in cui verrà percepito l’assegno. La riduzione rispetto al 2019? Dello 0,33%.
Il discorso è però diverso se consideriamo un lavoratore di 65 anni. In tal caso il coefficiente calcolato (frutto di alcune formule contenute nella legge Dini che si applicano ai dati demografici Istat) passa a 5,22% e un divisore di poco oltre 19. L’assegno si riduce quindi dello 0,48%. Ancora: a 71 anni la percentuale tocca quota 6,466% e una variazione rispetto al 2019 pari a -0,72%.
Il criterio è quindi solo e soltanto tecnico e - in linea
teorica - pensato appositamente per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo periodo. Eppure, come abbiamo visto, c’è chi dovrà abituarsi all’idea di ricevere mini-tagli sul proprio assegno pensionistico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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