Nel quadro delle sanzioni occidentali alla Russia il campo del petrolio è finora passato sotto traccia nel discorso, dato che la partita ha essenzialmente riguardato l'ipotesi di diversificare le forniture energetiche in materia di gas naturale. Ma l'oro nero ha un peso ancora maggiore rispetto a quello blu nel quadro dell'economia di Mosca. Estratto in larga misura in giacimenti posti a ridosso del Circolo Polare Artico o nel Mar Caspio il petrolio russo è un asset strategico fondamentale: "l'export di greggio pesa il doppio di quello di gas in base ai dati forniti dalla banca centrale russa sulla bilancia dei pagamenti del 2021 e circa il 60 per cento delle vendite all'estero riguardano l'Unione europea", fa notare in un'analisi Il Foglio. I dati mostrano inoltre che il petrolio rappresenta la "metà delle esportazioni russe, mentre il gas naturale il 6 per cento. Quello che viaggia attraverso i gasdotti vale 54,2 miliardi di dollari, mentre il petrolio rappresenta 110,2 miliardi e i prodotti petroliferi 68,7, su poco meno di 490 miliardi di dollari di esportazioni totali".
Certo, tagliare questo rapporto di dipendenza sarebbe sanguinoso per ogni Paese in campo ma se, da un lato, l'Europa potrebbe cercare altrove le sue forniture (Nigeria, Kazakistan, Azerbaijan, Norvegia, Canada, ma anche Ecuador, Suriname, Angola possono essere Paesi indiziabili) per la Russia l'opzione di una svolta verso la Cina anche dell'export del petrolio sarebbe più complessa, dato che "trasferire il petrolio destinato all'Europa sarebbe più complicato perché mancano infrastrutture".
I numeri pesanti citati dal Foglio però aprono a una riflessione che ci portano a pensare al fatto che, ad oggi, il petrolio è uno dei campi in cui difficilmente Mosca può essere assalita dalle sanzioni occidentali. Questo per una triplice serie di fattori.
In primo luogo, l'Europa, come detto, è un primario ricevente delle forniture energetiche russe anche per quanto riguarda l'oro nero, ma la dipendenza energetica riguarda pure gli Stati Uniti. Gli Usa sono i primi produttori di petrolio al mondo (11,3 milioni di barili al giorno nel 2020) e la Russia è la seconda (10,1 milioni) davanti all'Arabia Saudita (9,3 milioni), ma hanno un consumo interno superiore del 437,5% (17,2 milioni contro 3,2), il che rende Mosca passabile di entrare nel paniere dei fornitori di Washington. E infatti dopo Canada e Messico la Russia era nel 2020 il terzo fornitore di improtazioni con 595mila barili di greggio al giorno, secondo i dati raccolti da Forbes.
In secondo luogo, la dipendenza è duplice nel quadro di un mercato interconnesso. Il gas naturale ha una strutturazione di mercato molto più complessa in cui i livelli di trasmissione degli shock di prezzo sono molto più concentrati nel quadro dei mercati di afflusso e in cui molto più forte è il peso dei cosiddetti "mercati spot", che viaggiano sull'onda delle transazioni istantanee. Il petrolio, invece, è un mercato globale normato da regole legate, in primo luogo, all'ampio forum dell'Opec e dei Paesi che con esso dialogano (Opec+) in cui la Russia ha un ruolo determinante. Dunque un attacco al settore del petrolio russo finirebbe per generare uno shock energetico ulteriormente peggiore di quello già in atto su scala internazionale.
In terzo luogo, l'Occidente rischia un durissimo circolo vizioso da questo scenario. Attaccare il settore energetico russo sul campo del petrolio significa in sostanza alimentare il volo del prezzo del petrolio, ai massimi dal 2014, e dunque dare alla Russia un'arma politica con cui muoversi per resistere economicamente alle sanzioni consolidando il suo bilancio.
In quest'ottica, non è un caso che sotto il profilo geopolitico le sanzioni sul gas abbiano avuto una precedenza politica (e anche narrativa) rispetto a quelle sul petrolio. Lo storico dell'economia Adam Tooze ha detto chiaramente che l'amministrazione di Joe Biden ha disegnato un "pacchetto di sanzioni" che "appare sviluppato appositamente per permettere ai pagamenti per le forniture energetiche" di continuare. Time cita che il pacchetto, anche in caso di esclusione russa da Swift, consentirà all'eccezione nel contesto del petrolio di continuare. E Bloomberg segnala che Washington intende "fare il massimo danno possibile" all'economia russa evitando "contraccolpi all'economia americana", esportatrice di gas ma ancora assetata di petrolio.
Il petrolio appare, ancora più del gas, l'arma definitiva con cui l'economia russa, visti i volumi in campo, potrebbe essere mandata a terra, obiettivo che Bruno Le Maire ha esplicitamente indicato oggi.
Ma un attacco al greggio made in Russia rappresenterebbe un'opzione nucleare che metterebbe a terra l'economia mondiale, ancora oggi ancorata all'effetto del petrolio su inflazione, crescita, catene del valore e rapporti internazionali. E oggi non è detto che l'Occidente sia pronto a spignersi così avanti per Kiev.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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