È arrivato il momento di dire basta. Non dobbiamo più subire. Il terremoto, con i lutti, le distruzioni, lo shock psicologico ed economico che porta con sé, si abbatte su un'Italia già ferita dalla recessione, pessimista, imbarbarita e apparentemente incapace di riprendere in mano il proprio destino, correggendo errori e rifiutando di sottostare passivamente a politiche adottate sotto pressione esterna e in un contesto profondamente mutato.
Il terremoto ha posto in luce ancora una volta debolezze strutturali che non sono risultato di insufficiente spesa pubblica, quanto di un’allocazione distorta delle risorse non corretta nei decenni attraverso i necessari investimenti. E tuttavia queste, come altre debolezze, non possono essere affrontate in una fase recessiva né attraverso ulteriori feroci tagli di spesa, né attraverso un ulteriore aumento della pressione fiscale. Non si tratta di trovare i finanziamenti per gli interventi di urgenza, reperibili anche nell'ambito degli obiettivi di bilancio fissati, ma di dare finalmente al Paese una prospettiva di ripresa, di speranza, legando l'azione di breve periodo agli obiettivi di lungo periodo.
È arrivato il momento di dire basta ai diktat della Germania. Ciò significa mutare il segno delle aspettative di breve, non pensando che queste non influenzino quelle di lungo periodo. Per essere chiari, è necessario che si vada certamente a fondo nella spending review, nei tagli, con un obiettivo immediato di revisione e di riallocazione della spesa pubblica, ma non con la pressione di un obiettivo di riduzione immediata, non con un obiettivo congiunturale. Insomma basta tagliare sull'altare della riduzione del deficit. I mercati non sanno che farsene di un Paese in pareggio ma economicamente stremato. Invece, le risorse reperite nell'immediato devono essere tutte reinvestite, mentre la riduzione di spesa da ricercare deve essere strutturale e diretta a una riduzione altrettanto strutturale della pressione fiscale. Meno spesa, meno tasse.
Ciò vuol dire nessuna correzione del deficit che aumenta a causa del ciclo negativo. Ricollochiamo, piuttosto, ufficialmente l'obiettivo di pareggio del bilancio al 2014, secondo il calendario già concordato con l'Europa, prima della bufera, dell'imbroglio, dell'estate scorsa, e corretto in agosto con l'accettazione delle richieste della Banca centrale europea, nel pieno della crisi che dalle banche veniva trasferita ai debiti sovrani in tutta Europa e che in quel momento veniva indirizzata verso l'Italia.
Allora l'anticipazione del pareggio significava più credibilità. Ma il contesto, dopo quasi un anno di errori ed egoismi della governance europea, è cambiato. È chiaro oggi che l'origine della crisi non era nella sostenibilità del debito italiano, che l'incertezza che permane ha le sue fondamenta nella crisi greca, nelle difficoltà del sistema bancario, non solo spagnolo, e nella crisi dell'euro messo in discussione dalla politica di austerità imposta dalla Germania. Soprattutto è chiaro oggi che la sostenibilità dei debiti sovrani, e il livello dei deficit che li alimentano, dipende dall'incapacità dell'Europa di rispondere a un mutamento di politica economica che ci viene richiesta da tutto il resto del mondo. Certamente non è un punto in meno di deficit pubblico, in piena recessione, che può dare fiducia ai cosiddetti mercati, che al contrario ne ricevono un’impressione di paralisi nella capacità di governo dell'economia.
Il presidente Monti, che si sta coraggiosamente impegnando per un mutamento della direzione di politica economica a livello europeo, ha oggi la forza per riportare ufficialmente l'obiettivo di pareggio di bilancio al 2014 a testa alta. D'altra parte questo è quanto probabilmente accadrà, ma ciò non deve avvenire come non raggiungimento di un obiettivo, come fallimento, ma come perseguimento di una strategia liberamente scelta secondo logica economica corretta e come segno di una forza e affidabilità riconquistata, e quindi con un impatto di segno opposto sulle aspettative. Serve dare un segnale non solo ai mercati finanziari, ma anche ai mercati reali, domestici ed esteri, di una volontà di reazione alla congiuntura che non significa allentamento di un programma di consolidamento fiscale, che l'Italia sta perseguendo da anni senza sforamenti, ma di capacità di rimanere fuori dalla spirale greca di autodistruzione programmata.
Si rimetta in moto la macchina degli investimenti, infrastrutturali, ambientali, di manutenzione. Che lo Stato paghi i suoi debiti. Basta flagellarci.
Facciamo che da questo evento tragico, drammatico, catastrofico, ritorni la forza, la voglia, la passione di ricominciare. Siamo in grado di farlo. Lo dobbiamo alle vittime e lo dobbiamo al Paese. Lo dobbiamo ai nostri figli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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