L'Italia si trova dinanzi a un bivio macroeconomico. Potrebbe sembrare un'espressione abusata negli ultimi tempi, ma le statistiche della Banca d'Italia certificano che, dopo un'uscita positiva dalla crisi pandemica, la spinta propulsiva della crescita si è affievolita a causa dell'inflazione. Ora tocca allo stesso governo dell'economia (ma questo Banca d'Italia non lo dice) evitare che il rallentamento si trasformi in una recessione vera e propria.
Un primo termometro della situazione non propriamente entusiasmante è rappresentato dai dati Istat-Bankitalia sulla ricchezza dei settori istituzionali. Nel 2021, anno successivo alla pandemia, gli italiani hanno continuato ad accumulare denaro derivante da attività mobiliari e immobiliari. In termini reali, tuttavia, la ricchezza delle famiglie è infatti diminuita. Non solo, a livello pro capite l'Italia è, tra i grandi Paesi sviluppati, quello dove la ricchezza è cresciuta meno negli ultimi anni, piazzandosi a livelli inferiori a quasi tutte le altre economie avanzate, eccezion fatta per la Spagna. I numeri parlano chiaro. Alla fine del 2021 la ricchezza netta delle famiglie italiane, misurata come somma di attività reali e finanziarie al netto delle passività finanziarie, era pari a 10.422 miliardi, ossia 176mila euro pro capite. La ricchezza è aumentata di oltre 300 miliardi a valori correnti, con una crescita del 3% rispetto all'anno precedente, proseguendo dunque nell'andamento al rialzo del 2019, non interrotto dalla pandemia. Lo stesso rapporto precisa però anche che in termini reali la ricchezza si è ridotta dell'1,1%, in controtendenza rispetto al 2020, quando era aumentata dell'1,7%. Le attività reali, pari a 6.186 miliardi di euro, sono aumentate soprattutto per effetto delle abitazioni (+0,4%; +23 miliardi), il cui valore ha registrato una crescita per la prima volta dal 2012. Le attività finanziarie, pari a 5.237 miliardi (+6,6%) sono state trainate da azioni e fondi.
Le passività finanziarie delle famiglie italiane sono aumentate del 3,7%, superando i 1.000 miliardi. Il confronto internazionale non è peraltro lusinghiero. La ricchezza netta delle società non finanziarie è risultata pari a 880 miliardi di euro, in calo dell'8% rispetto al 2020. Le passività sono cresciute di 225 miliardi. Nel caso delle società finanziarie, tra il 2020 e il 2021 la ricchezza netta è passata da 717 a 686 miliardi di euro, con le passività a +447 miliardi.
Un trend che finora non si è riflesso sul mercato del lavoro. Il rapporto sul mercato del lavoro realizzato da ministero del Lavoro, Banca d'Italia e Anpal ha evidenziato che nel 2022 sono stati creati più di 380mila posti, un valore superiore a quello registrato nel 2019 (308mila). Una dinamica legata quasi esclusivamente alle assunzioni a tempo indeterminato (+400mila). Considerando anche i risultati del 2021 (+600mila), nell'ultimo biennio il settore privato ha creato circa un milione di nuovi posti. L'analisi, tuttavia, conferma il rallentamento del mercato del lavoro a fine 2022. La domanda, sottolinea il rapporto, «è rimasta sostenuta fino all'inizio dell'estate», mentre «nei mesi successivi la dinamica è rimasta positiva ma si è indebolita».
Insomma, quando il mix esplosivo tra inflazione e rialzo dei tassi ha cominciato a far sentire la propria influenza, il mercato del lavoro ha iniziato a spegnersi. La sfida dal 2023, pertanto, è evitare che il sistema si avviti su se stesso, riproponendo la spirale negativa del 2012-2013.
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