Per anni sono stati marchi di grande distribuzione organizzata noti e apprezzati nel nostro Paese, ma l'ultimo biennio ha cambiato tutto: i due colossi francesi della grande distribuzione organizzata, Auchan e Carrefour, hanno drasticamente corretto le proprie strategia nella penisola. Ritirandosi completamente, come ha fatto Auchan, o accorciando notevolmente le proprie linee, come ha annunciato di voler fare Carrefour, i due marchi francesi hanno segnato e segneranno profondamente un mercato fortemente concentrato e in cui ogni riorganizzazione settoriale costa notevolmente in termini di occupazione e impatto economico, soprattutto a livello locale.
Il recente caso di Esselunga che è stata capace di sfondare il "muro" delle Coop e insediarsi a Livorno dopo una battaglia pluriennale segnala la complessità del mercato della Gdo italiana in cui, forti del loro potere di mercato, Auchan e Carrefour negli ultimi decenni erano entrate a passo di carica forte di un potere economico e finanziario sostenuto dal capitalismo nazionale transalpino. Che della battaglia per l'espansione dei suoi marchi di punta aveva fatto una punta di lancia per la promozione del suo brand in termini di prodotti e sistema-Paese all'estero. Auchan e Carrefour hanno penetrato il mercato italiano, ne hanno modificato gli assetti e trasformato le dinamiche salvo poi decidere strategie strutturali con un semplice tratto di penna.
Il ridimensionamento di Carrefour
Ultima tegola i ordine di tempo per l'economia italiana è arrivata da Carrefour. Il gruppo, un autentico gigante con diffusione globale, col suo piano industriale per il 2022, ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per 769 lavoratori e lavoratrici: 261 dipendenti in 27 Ipermercati, 313 in 67 market, 168 in 10 cash&carry e 168 posti di lavoro presso le sedi amministrative di Milano, Nichelino, Roma, Airola, Gruliasco, Napoli, Rivalta e Moncalieri. Previste inoltre 106 chiusure, 82 di Carrefour Express e 24 di Carrefour Market. Un problema strutturale, quello che potrebbe aprirsi, legato principalmente al fatto che i Carrefour chiusi corrispondono ad altrettanti contesti di comunità locali e di vicinato che con l'avanzata tentacolare del gruppo francese, ben esaminabile in città come Milano, hanno visto la chiusura di attività di prossimità e la distribuzione organizzata finire in mano a un sostanziale oligopolista.
Proiezione diretta del sistema-Paese Francia, come dimostrato dalle manovre del governo di Emmanuel Macron per evitarne la scalata da parte di operatori stranieri nei mesi scorsi. Non sembra sufficiente la giustificazione di Carrefour Italia circa un piano che sarà "gestito su base esclusivamente volontaria" per la riduzione del personale: che ne sarà di chi lavora in punti vendita destinati alla chiusura, senza possibilità di trovare un altro market nelle vicinanze? Come conciliare questa dichiarazione con la certosina distribuzione dei tagli al personale tra le varie fasce di punti vendita? Come per Auchan, anche Carrefour sembra esser stata colpita dal contraccolpo della passata volontà di esercitare un assiduo, forse eccessivo presidio del territorio. Una "bulimia" di presenza che alla lunga ha potuto incentivarsi per la superiore potenza finanziaria del gruppo francese, ma non è stata finanziariamente sostenibile.
L'addio di Auchan
Nel 2019 Auchan ha scelto di ritirarsi dal mercato italiano promuovendo l'idea di un calo sensibile del fatturato retali e ceduto i suoi asset a Conad in seguito all’acquisizione realizzata dal veicolo Bdc, controllato dal gruppo distributivo (51%) e dalla WRM (49%) del finanziere Raffaele Mincione. La Conad è un gruppo in salute, ha chiuso il 2019 pre-pandemico con un fatturato da 14,3 miliardi di euro arrivato nel 2020 a 15,95 miliardi, in aumento del 12,3%, ma ha sempre messo in chiaro che l’operazione Auchan avrebbe portato in dote tagli ai punti vendita dei marchi controllati, compreso Simply, ridimensionamento delle attività non alimentari e sforbiciate al numero dipendenti. In sostanza, Auchan ha lasciato dietro di sé una situazione difficilmente gestibile in termine di management del patrimonio immobiliare, sviluppo della rete logistica, piani di crescita industriale.
Tanto da lasciare una vera e propria "patata bollente" in mano a Conad: "l’acquisizione di Auchan Italia da parte di Conad avvenne senza debiti pregressi e con un capitale sociale di un miliardo di cui 500 milioni versati da Auchan holding per coprire circa 30 mesi di possibili perdite", ha scritto Il Sole 24 Ore. Nel corso di un anno e mezzo attraversato dalla pandemia, è andato in scena un gigantesco processo di ristrutturazione nel corso del quale è stata data nuova forma alla struttura di rete costituita da 17 mila addetti in 269 negozi, più varie sedi regionali, poco più della metà delle quali (55%) è entrata in Conad. Il 40% è stato diviso tra varie sigle, insegne, dettaglianti. Il resto, invece, rischia di trasformarsi in una "Rust Belt" commerciale fatta di vani sfitti, negozi ridotti di dimensione, ipermercati in parte vuoti e, soprattutto, lavoratori nell'incertezza. A maggio in queste vertenze seguite alla precipitosa ritirata di Auchan dall'Italia rimanevano incerti i destini di 32 punti vendita ex Simply/Auchan con 838 addetti, di cui 5 quadri.
In entrambi i casi, i francesi rompono e i cocci sono italiani, in termini di problemi economici, posti di lavoro a rischio, attività legate all'indotto, alla logistica, alla subfornitura danneggiate o costrette a chiudere.
Il protagonismo francese nella Gdo è dunque da tenere seriamente sotto controllo: e non è l'unico campo in cui la volontà transalpina di giocare un ruolo dominante nel nostro Paese può condurre a squilibri. Come, dagli alimentari alle Tlc, numerosi altri noti casi insegnano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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