Scaroni prepara Eni alla sfida dello «shale gas»

Scaroni prepara Eni alla sfida dello «shale gas»

É la Libia la prima preoccupazione dell'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni. Il deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese nordafricano è una spina nel fianco per il Cane a sei zampe: il problema più grave riguarda il giacimento di gas naturale di Wafa. «La struttura è ferma e non ci sono previsioni di riapertura: è un bel problema perchè è il tassello fondamentale per il Western Libyan Gas Project», il megaprogetto con cui Eni intendeva esportare e commercializzare in Europa il gas libico.
A maggior ragione, le strategie del colosso energetico guardano sempre più oltre i mercati tradizionali, puntando alla risorsa dello shale gas, che sta rivoluzionando il mercato: già oggi, grazie al gas estratto dalle rocce, negli Stati Uniti il metano costa un terzo rispetto all'Europa e l'elettricità la metà. «Questa differenza rende molto difficili gli investimenti industriali in Europa - ha ricordato, non per la prima volta, Scaroni - e crea delle preoccupazioni per il futuro dell'Europa stessa». É vero che l'avvio dell'export di shale gas dagli Usa, previsto già dai prossimi anni, dovrebbe far abbassare i prezzi anche nel Vecchio Continente: ma resterebbero sempre il doppio rispetto a quelli americani.
Importare il modello Usa in Europa, d'altra parte, non è semplice, e forse nemmeno praticabile: il «fracking», la tecnica di frantumazione delle rocce per estrarne il gas, presenta molte controindicazioni ambientali - rumore, grandi assorbimenti d'acqua, una quantità di residui da smaltire -, che la rendono problematica in zone densamente popolate, come appunto il Vecchio Continente. Finora, ci ha provato solo la Gran Bretagna, e Scaroni spera che il pragmatismo inglese stimoli gli altri Paesi a cercare metodologie meno invasive, superando gli ostacoli della politica e dell'opinione pubblica. Certo non l'Italia, dove giacimenti di shale gas non esistono, almeno allo stato attuale: ma in Europa si stima che si potrebbe estrarne l'equivalente di 92 miliardi di barili di petrolio. La Polonia e l'Ucraina ci stanno già provando, e infatti Eni ha diverse licenze estrattive in questi Paesi, come del resto in Cina, Pakistan e Texas. E Scaroni non fa mistero di guardare soprattutto alla Russia per recuperare il gap con gli Stati Uniti: «In vent'anni, la Russia sarà il nostro Texas», ha detto recentemente. L'Eni, comunque, non trascura nessun mercato: «Vorremmo fare del sud-est asiatico una nostra nuova frontiera che si aggiunge a quella africana. In questo senso il Myanmar è un Paese di grande interesse e lo considero promettente», ha detto Scaroni in occasione di un convegno alla Farnesina dedicato proprio al Paese in via di sviluppo.

Nell'ex Birmania oltre la metà della popolazione non ha accesso all'elettricità e la presenza di Eni nel paese «potrà fare la differenza», assicura l'ad, annunciando che Eni partecipa alle gare di aggiudicazione di blocchi esplorativi nel Paese.

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