Da miti di uno sviluppo industriale mai compiuto a capitali della crisi che paralizza il Sud e frena l'Italia intera. C'è un filo rosso che unisce Gela e Termini Imerese, e a tesserlo è stato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha scelto le due città siciliane come tappe del suo viaggio agostano nel Mezzogiorno. Una scelta, quella del premier, che ha sancito e portato alla ribalta nazionale le difficoltà di due tra i territori i più colpiti dalla crisi, ma dimenticati dalla politica e dai media.
Le storie dei due centri industriali, collocati quasi agli opposti di una linea immaginaria che taglia da Nord a Sud la Sicilia, sono più simili di quanto si pensi. Entrambe antiche città di mare - affacciata sul Tirreno (Termini), sul Mediterraneo (Gela) - ad alto potenziale turistico, prima che arrivassero le grandi fabbriche le rispettive economie si basavano sull'agricoltura e sulla pesca. Poi l'intervento dello Stato, in nome di uno sviluppo industriale che doveva essere un volano per tutta l'isola e che, invece, non si è mai realizzato. All'inizio degli anni '60, dopo la scoperta dei giacimenti di petrolio e di gas naturale nelle aree limitrofe, la costa Est di Gela fu scelta dall'Eni di Enrico Mattei per impiantare un polo petrolchimico destinato a diventare tra i più grandi d'Europa. Dopo un decennio di fervore produttivo e occupazionale, dalla seconda metà degli anni '70 gli impianti hanno subito un progressivo ridimensionamento, tanto da passare da 7.500 operai agli attuali 1.200 circa, tra diretti e indotto. Sospesa l'attività chimica, è rimasta attiva la sola raffineria, che ha però dovuto scontrarsi anche con alcuni controversi incidenti. L'ultimo lo scorso marzo, quando un incendio a una delle tre linee ha causato la chiusura dell'intero impianto di raffinazione. Uno stop forzato che, viste le difficili condizioni del mercato, ha portato Eni a interrogarsi sull'opportunità di riavviare la produzione, mettendo in agitazione operai e sindacati. «Non lasceremo Gela e nessuno sarà licenziato», ha poi rassicurato il Cane a sei zampe dopo giorni di proteste, annunciando 2 miliardi di fondi per la riconversione green del polo. Una prospettiva condivisa da Renzi - il quale, nella sua visita al petrolchimico, ha affermato la necessità di difendere gli investimenti nella chimica verde e nelle bioenergie - ma osteggiata dai sindacati che, dopo aver ottenuto la salvaguardia dell'occupazione, chiedono il rilancio dell'attività estrattiva e di raffinazione come prevista dai precedenti accordi: ieri hanno tacciato Eni di «immobilismo».
Più grave la situazione a Termini Imerese, dove l'ormai ex stabilimento Fiat - aperto nel 1970 dal Lingotto sulla spinta di un finanziamento della Regione Sicilia - dal 2011 ha chiuso i battenti. Archiviato ogni possibile ripensamento di Fiat, ai circa 1.100 dipendenti cui a dicembre scadrà la cassa integrazione, Renzi ha confermato l'impegno del governo affinché a Termini si torni a produrre auto.
Oltre al progetto dell'italiana Grifa, intenzionata a realizzare minicar elettriche e ibride nel polo siciliano, il premier ha prospettato l'ipotesi del gruppo automobilistico cinese Brilliance, interessato a investire in Italia anche se non «necessariamente» nella cittadina palermitana. Due speranze accolte con prudenza da lavoratori, che attendono risposte concrete.In dicembre scade la cassa integrazione per i 1.100 operai dell'ex sito Fiat di Termini Imerese
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