L'avventura italiana nello Spazio compie 60 anni. Un cortometraggio, «A un passo dalla Luna. Un'esperienza di leadership italiana ed europea», realizzato dal Gruppo The Skill, ripercorre la storia dell'industria spaziale italiana. Massimo Comparini, amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia e dal 5 settembre alla guida della Divisione Spazio di Leonardo, è uno dei protagonisti del docufilm.
Comparini, come nasce il rinascimento dell'industria spaziale?
«Nell'opinione pubblica c'è difficoltà a immaginare l'Italia come un Paese ad altissima tecnologia ma il design italiano ha una grande tradizione tecnologica. L'Italia oggi è un attore fondamentale nell'osservazione della Terra, nella navigazione e nell'esplorazione spaziale. Questa leadership viene da lontano, dal lavoro dell'Agenzia Spaziale Italiane ed Europea, dalla Space Alliance tra grandi gruppi industriali come Leonardo e Thales, dalla capacità di generare competenze, investimenti e collaborare con una folta schiera di Pmi. Consideri che oggi i moduli pressurizzati dove vivono gli astronauti per l'80% sono italiani».
Cosa significa guidare la Divisione Spazio di Leonardo?
«Ho sempre pensato che le grandi imprese debbano avere un ruolo di traino e di ispirazione per lo sviluppo dei settori industriali. Ho attraversato i diversi segmenti delle attività spaziali in circa 40 anni di carriera, avendo sempre come focus tecnologia e innovazione. Sono onorato che Leonardo mi abbia chiamato per guidare la nuova Divisione Spazio, per coordinare una visione spaziale complessiva, creando e stimolando sinergie tra le diverse aziende del gruppo».
I sindacati francesi hanno indicato l'Italia come modello da seguire. Stiamo davvero sorpassando i cugini d'Oltralpe?
«Il nostro è un mondo dove si coopera e si compete. Circa il 70% delle attività spaziale proviene dalle istituzioni, ma un 30% proviene da commesse che si vanno a procacciare. È una dimensione che diventa sempre più importante con l'ingresso dei grandi player privati. L'Italia ha mostrato una capacità sistemica che solitamente non ci viene riconosciuta e copre tutta la catena del valore al massimo livello. Il fatto che i francesi ci vedano come modello è vero».
In Italia 400 aziende operano nella space economy. La filiera è in grado di produrre chiudendo il ciclo?
«La base tecnologica è complessivamente molto solida. Noi abbiamo portato avanti lo sviluppo dei primi sei satelliti della nuova generazione Galileo, il sistema di navigazione satellitare europeo. Uno degli elementi strategici è stato quello di avere investito in semiconduttori, con una joint venture italo-francese. È necessario integrare tecnologie e noi lo facciamo ad altissimo livello».
L'Italia è protagonista del Programma Artemis. Quanto è importante oggi l'economia lunare?
«Sono più di 20 anni che l'Italia opera nell'orbita bassa terrestre e fa ricerca in assenza di gravità. Questo ci ha dato una conoscenza incredibile di cosa possiamo fare. Nello spazio i cristalli crescono in modo più regolare e perfetto, è possibile sintetizzare materiali più facilmente. Sulla Luna torniamo per imparare a rimanerci con continuità. Da qui al 2035 sono previste una ottantina di missioni, dovremo portare materiale e attrezzature scientifiche sul Polo Sud della Luna dove sorgeranno tredici siti. Nascerà una produzione made in space. Siamo orgogliosi del fatto che i primi tre moduli della stazione Axiom li stiamo costruendo a Torino, così come abbiamo iniziato lo studio del primo modulo lunare».
Quali sono le implicazioni sul fronte della medicina e della sostenibilità?
«Sono tante. Non dobbiamo immaginare l'investimento nello spazio come qualcosa che distoglie risorse economiche dalla Terra, perché la sostenibilità del nostro pianeta passa dallo spazio. Immaginiamo solo le colture idroponiche per aiutare una agricoltura soggetta al cambiamento climatico. O la cura dell'osteoporosi che utilizza le ricerche fatte sugli astronauti».
Perché invece c'è tanto interesse verso Marte?
«Marte tre miliardi di anni fa aveva laghi e oceani. È successo qualcosa, il vento solare si è portato via tutto e oggi non ha uno schermo come la nostra atmosfera. Ma studiare Marte significa comprendere l'evoluzione del nostro sistema solare, soprattutto se riusciremo a trovare tracce organiche di una vita passata. E qui abbiamo un altro punto di eccellenza. Partiremo a fine 2028 con la missione Exomars basata su tecnologia italiana. Abbiamo creato una trivella che andrà a indagare a due metri di profondità per cercare qualcosa che abbia resistito alle radiazioni. Comprendere Marte significa capire cosa potrebbe accadere sulla Terra».
Qual è la portata del progetto della Space Factory italiana?
«Il Pnrr ha dedicato risorse importanti a settori importanti come SatCom, Space Factory 4.0, Osservazione della Terra e In-Orbit Economy. E poi c'è la Space Factory che è un punto di orgoglio insieme alla costruzione del Tecnopolo Tiburtino dove si lavorerà su satelliti più piccoli, importanti per connettività e osservazione della Terra, in collaborazione con le pmi».
Nel cortometraggio lei dice: Da ragazzo volevo costruire le macchine che avrebbero portato l'uomo nello Spazio. Non le è venuta la curiosità di sperimentare un volo nello Spazio?
«Non riesco a scindere la professione dalla passione, dopo tanti anni mi diverto ancora a cogliere le sfide, a sviluppare la conoscenza ed essere di ispirazione per le nuove generazioni.
È bello mettere a confronto, come è stato fatto nel cortometraggio, i sogni dei piccoli con le idee di coloro che hanno la fortuna di fare questo lavoro. Grazie alla ricerca anche in età avanzata si potrà andare nello spazio. Non so se ci andrò, ma mi piace pensare che possa accadere».
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