La frase chiave è «mani libere». Un concetto che si ritrova anche nel comunicato stampa di Tim, che annunciava le dimmissioni con effetto immediato dal consiglio d'amministrazione rassegnate ieri da Arnaud De Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi. Secondo fonti vicine alla società francese, l'idea delle dimissioni nasce dalla volontà di interloquire più liberamente nella partita della rete, dopo che negli ultimi mesi si è venuto a creare un rapporto positivo tra Vivendi - prima azionista di Tim con il 23,7% - e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il governo infatti sarebbe disponibile a varare un piano di incentivi per le tlc. Salvo rinvii, il 25 gennaio dovrebbe essere convocato dall'Esecutivo un nuovo tavolo al quale non è da escludere possa prendere parte direttamente De Puyfontaine, che a questo punto può partecipare alle riunioni anche da solo, senza conflitti con il suo ruolo nel cda di Tim. Dal gruppo francese, inoltre, si smentisce la volontà di uscire dal capitale della tlc, sottolineando che Vivendi è un investitore di lungo termine che nutre ancora un interesse industriale nell'azienda. Il titolo di Tim, ieri, ha guadagnato il 3,32%, a quota 0,258 centesimi per azione. Il mercato, probabilmente, legge tra le righe una possibile svolta favorevole nella partita della rete.
C'è poi anche un'altra chiave di lettura per queste dimissioni, ed è la vicenda legata alla governance. Vivendi, infatti, non ha mai fatto mistero di volere un cambio alla presidenza, con Massimo Sarmi che avrebbe dovuto sostituire Salvatore Rossi, ritenuto dai francesi poco imparziale. Nel mirino del primo azionista di Tim, poi, c'è anche la posizione, ritenuta in conflitto d'interessi, del consigliere Giovanni Gorno Tempini, anche presidente di Cassa depositi e prestiti. Dalla stessa Cdp, azionista di Tim con il 9,8%, sarebbe dovuta arrivare un'offerta per rilevare la rete, che non è mai giunta a destinazione anche a causa della differenza abissale con le richieste di Vivendi, che attribuisce alla NetCo un valore di 31 miliardi.
Secondo quanto raccolto, sebbene l'ipotesi fosse già circolata, in Tim la notizia delle dimissioni è stata appresa con stupore. Se da un lato c'erano i contrasti sulla governance, dall'altro come consigliere De Puyfontaine aveva votato con il board su tutte le questioni principali: dal piano industriale, ai conti. Secondo Intermonte, le dimissioni potrebbero «accelerare» un'intesa per la vendita della rete anche se Vivendi avrebbe la possibilità di bloccare la cessione in caso di valutazioni «insoddisfacenti».
Secondo un'ipotesi degli analisti di Equita, invece, la scelta di Vivendi di uscire dal cda di Tim «potrebbe essere interpretata come un modo per Vivendi di essere libera di presentare un piano diverso da quello del board.
Questo piano B potrebbe probabilmente essere lo scorporo di NetCo (la società della rete, ndr) e ServCo (la società dei servizi), la proposta che Vivendi sta sostenendo mentre Cdp e probabilmente il governo stanno spingendo in direzione di una vendita di Netco».
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