Si compie la prima tappa della privatizzazione del Monte dei Paschi di Siena (Banco Mps). Ieri il ministero dell'Economia ha comunicato di aver collocato il 25% del capitale dell'istituto (il 64,2% la quota Mef). La procedura scelta è quella dell'accelerated bookbuilding, che prevede la cessione a investitori qualificati come, per esempio, potrebbero essere i fondi.
Il Mef - che si è impegnato a non vendere altre quote per almeno 90 giorni - ha messo in vendita 314 milioni di azioni ad un livello di prezzo pari a 2,92 euro ad azione, ovvero con uno sconto di circa il 4,9% rispetto alla chiusura di Borsa (3,07 euro). Secondo quanto comunicato in serata il collocamento è stato chiuso con un incasso stimato di 920 milioni di euro. Si tratta di un risultato positivo tanto per il governo quanto per la banca, che porta a casa un riconoscimento del suo valore sul mercato. Le richieste sono state pari a 5 volte l'offerta iniziale.
La mossa era attesa ma non così imminente ed è funzionale al ministro Giancarlo Giorgetti per almeno due motivi. Il primo è quello di fungere da marchio di credibilità sul piano di privatizzazioni da 20 miliardi entro il 2026 promesso dallo stesso ministro, che in questo modo porta a casa prima ancora del varo della legge di Bilancio una cifra non lontana dal miliardo. Un messaggio forte e chiaro per mercati e agenzie di rating, ma anche a Bruxelles sul fatto che l'Italia intende mantenere gli accordi presi per una graduale uscita dal capitale del Monte. Va poi sottolineato che lo Stato italiano, per la prima volta, registra una plusvalenza derivata da un investimento nella banca senese: il Mef di Giorgetti, appena un anno fa, aveva investito 1,6 miliardi nell'aumento di capitale a un prezzo di 2 euro per azione. Oggi rivende a 2,92, con una plusvalenza intorno ai 290 milioni sul primo blocco di azioni vendute. Lo stesso ministro, al pari dell'ad Luigi Lovaglio, aveva lavorato molto per la buona riuscita dell'aumento di capitale, per le quali erano state coinvolte anche le fondazioni bancarie a garanzia della credibilità dell'operazione che poi, in effetti, è andata in porto dando l'input al rilancio dell'istituto che veleggia per fine anno oltre quota 1,1 miliardi quanto a profitto netto.
Il taglio del Mef a poco meno del 40% del capitale è peraltro un ottimo viatico per arrivare a un'operazione di aggregazione in vista del prossimo anno. Chiunque arriverà a sedere al tavolo delle trattative, infatti, lo farà con l'azionista statale già sotto la soglia del 50%, con la prospettiva di diluirlo ancora attraverso un'operazione di aggregazione. I candidati numero uno al matrimonio col Monte sono Banco Bpm e Bper Banca, una di queste due - meglio se entrambe - potrebbero comporre insieme a Mps il famoso terzo grande polo bancario italiano, che è tra i desideri più volte espressi dal governo presieduto da Giorgia Meloni.
Se si sommassero le tre realtà - oltre alla Popolare di Sondrio che è nell'orbita di Bper - si creerebbe un polo da oltre 500 miliardi di attivi che si collocherebbe dietro i due giganti Intesa Sanpaolo e Unicredit. E alimenterebbe la solidità del settore già apprezzata dall'agenzia Moody's.
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