Tim, vittoria in tribunale sul canone

I giudici: "Lo Stato paghi 1 miliardo". Unicredit si sfila e fa slittare l'affare Sparkle

Tim, vittoria in tribunale sul canone
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La vendita di Sparkle e la restituzione del canone indebitamente versato nel 1998 potrebbero essere due partite molto più intrecciate di quanto non sembri a una prima occhiata. Andiamo con ordine: ieri la Corte d'appello di Roma ha respinto la richiesta di sospensiva avanzata dallo Stato, di fatto rendendo provvisoriamente esecutiva la sentenza di aprile che ha sancito la restituzione a Tim di circa 1 miliardo (995,2 milioni tra canone e interessi). La presidenza del Consiglio ha già annunciato il ricorso in Cassazione e, in attesa di giudizio, aveva chiesto di sospendere il pagamento della somma. Richiesta che, tuttavia, il giudice ha respinto e ora lo Stato dovrà pagare.

La Corte non ha peraltro chiesto garanzie da parte di Tim, il che significa che la società guidata da Pietro Labriola (nella foto) è stata giudicata solvibile anche nel caso, a dire il vero piuttosto remoto, in cui l'ultimo grado di giudizio ribaltasse la sentenza d'appello. Tra le loro argomentazioni, infatti, gli avvocati dello Stato avevano sottolineato le passate difficoltà di Tim come motivo per temere una mancata restituzione della somma oltre a evidenziare «che la dimensione della somma portata dalla sentenza rende evidente l'impossibilità per il bilancio dello Stato di reperire la liquidità necessaria». Argomenti che, tuttavia, sono stati entrambi respinti dai giudici, a maggior ragione dopo che il legale di Tim Romano Vaccarella lo scorso dicembre aveva presentato un'offerta di sconto per 150 milioni con pagamento rateizzato. Potrebbe dunque arrivare a conclusione una vicenda vecchia di oltre un quarto di secolo, vale a dire quando l'allora Telecom Italia si trovò a versare un canone concessorio nonostante una direttiva europea stabiliva che dal gennaio 1998 non fosse più dovuto.

Dopo questa sentenza, la spinta a trattare sarà forte. Tim proverà a fare un altro tentativo di transazione per cercare di non andare allo scontro, anche perché in mancanza di un accordo Labriola dovrebbe comunque attivarsi per recuperare il credito con un decreto ingiuntivo per evitare di finire sotto azione di responsabilità da parte degli azionisti. Stavolta, però, lo Stato ha un'arma significativa per spuntare condizioni migliori sulla vicenda del canone e questa si chiama Sparkle. Da tempo, infatti, il duo composto da ministero dell'Economia e fondo spagnolo Asterion è in trattative con Tim per rilevare la società dei cavi internazionali con un'offerta da 700 milioni. Il cda della telco, riunito ieri, ha espresso parere favorevole sull'offerta, ma per il momento non può accettarla e quindi, si legge nella nota, «ha concesso un'estensione fino al 15 marzo». Gli acquirenti, infatti, non hanno ancora perfezionato il finanziamento dell'operazione che avrebbe dovuto avvenire attraverso Mps, Bpm e Unicredit. Il punto è che, all'ultimo miglio, l'istituto guidato da Andrea Orcel si è sfilato. In ambienti finanziari si legge la scelta come una sorta di ritorsione per l'ostilità mostrata dal governo all'offerta pubblica di scambio che Unicredit ha lanciato su Banco Bpm: ipotesi che però non trova conferme ufficiali. In ogni caso, in Tim c'è tranquillità sul fatto che Mef e Asterion riusciranno presto a concludere l'operazione, ma nel frattempo devono incassare uno slittamento della chiusura di un affare sul quale al momento non è possibile fare alcuna previsione. Ed è proprio qui che la vicenda Sparkle e quella della restituzione del canone indebitamente versato allo Stato tornano a intrecciarsi.

Infatti il Mef potrebbe allungare i tempi dell'operazione in attesa di avere un segnale gradito nella trattativa sull'orizzonte del canone. Ed è così che Orcel, curiosamente, si troverebbe a essere con il suo forfait un alleato involontario dello Stato.

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