L'atmosfera si scalda in casa Tim, in vista dell'assemblea dei soci del 20 aprile. Ieri, su richiesta del presidente Salvatore Rossi, Vivendi ha recapitato alcune domande al board che troveranno risposta prima dell'assemblea. Le critiche ricalcano la missiva del 7 aprile e si concentrano su funzionamento del board e dei vari comitati, nomine e remunerazioni in primis. Per i soci francesi non ci sarebbe stata la necessaria trasparenza sui nuovi obiettivi di incentivazone sottoposti all'approvazione degli azionisti. La società del presidente Vincent Bollorè, non essendo più in cda, chiede inoltre di sapere se nell'ambito del cda ci siano state voci contrarie rispetto alla approvazione di pacchetti retributivi e con quali motivazioni. I francesi sottolineano inoltre che il tutto non è da leggere come un attacco all'ad Pietro Labriola, ma un'iniziativa per avere indicazioni rispetto a un ragionevole pay out sul 2022 e sul 2023 affinchè i manager abbiano l'obiettivo di sovraperformare e non accontentarsi di performance medie. Insomma, Vivendi non è contenta della gestione Rossi e punterebbe a una profondo aggiornamento dei comitati.
Nel frattempo ieri, nell'ottica di sostituire il consigliere dimissionario Arnaud De Puyfontaine, il proxy advisor Iss ha espresso parere favorevole alla candidata di Assogestioni, Paola Bruno, preferendola al presidente di Asati, Franco Lombardi. Il nuovo report pubblicato da Iss, che orienta le scelte dei grandi investitori in vista dell'assemblea, è un aggiornamento rispetto a quello realizzato il 4 aprile quando ancora non erano noti tutti i nomi dei candidati alla sostituzione del ceo di Vivendi. I francesi, che controllano il 23,7% del capitale, sono orientati a votare contro le due candidature.
Sullo sfondo alle scintille tra Vivendi e il board si staglia la grande partita della cessione della rete. In attesa dell'arrivo dei rilanci di Cdp-Macquaire e Kkr, previsti per il 18 aprile, la società transapina ritiene più corretto, vista la rilevanza dell'asset, che il parere finale sull'offerta arrivi nel contesto di un'assemblea straordinaria, dove il suo voto peserebbe di più. In un contesto di assemblea ordinaria l'esito del voto sarebbe molto più incerto, con rischi per Vivendi che invece non intende indietreggiare da una valutazione di 30 miliardi. Difficile però che le offerte vadano oltre i 21-22 miliardi. La società francese spinge per la via del take private, ma avrebbe incassato diversi «no» a causa dell'eccessiva onerosità dell'operazione.
Il nodo vero è un debito lordo da oltre 31 miliardi che, in un contesto di tassi al rialzo, è destinato a diventare sempre più insostenibile. E, in ambienti finanziari, si ritiene che se la cessione non dovesse andare in porto entro la fine del 2023 allora la prospettiva di un aumento di capitale potrebbe diventare un'ipotesi concreta.
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