"Transizione, per l'energia pulita c'è una via italiana e di mercato"

Il presidente di Maire: «Le soluzioni supergreen non bastano. Con la decarbonizzazione prodotti neutrali ed economicamente sostenibili»

"Transizione, per l'energia pulita c'è una via italiana e di mercato"

All'indomani delle europee il grande tema economico è come evolverà la transizione energetica. Come ha dimostrato la campagna elettorale, è un tema divisivo. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Di Amato, uno che da tempi non sospetti se ne occupa per passione e lavoro, al punto da aver fatto del gruppo Maire, di cui è fondatore e presidente, una multinazionale europea della transizione energetica.

Presidente Di Amato, la sua definizione di transizione?

«L'obiettivo della transizione è riprodurre gli stessi prodotti ma in modo decarbonizzato, facendo evolvere le filiere industriali e con costi sostenibili. Prendiamo per esempio i polimeri, componenti per produrre oggetti in plastica: oltre a decarbonizzare i processi convenzionali, facciamo gli stessi prodotti ma usando materie prime diverse, così si può ridurre l'impatto ambientale e mantenere la sostenibilità economica, necessaria per stare sul mercato».

Cosa fa Maire?

«Fornisce soluzioni tecnologiche per decarbonizzare i processi industriali, come licenze, brevetti. E se il cliente vuole anche l'impianto, lo realizziamo. Un processo efficace di transizione energetica si basa tanto sulla tecnologia quanto sulla capacità realizzativa. Per esempio un nostro impianto in Nord Italia tratta fino a 60mila tonnellate di scarti plastici trasformandoli in nuova materia prima . Una nostra tecnologia, che abbiamo già venduto alla Hera a Modena».

È di pochi giorni fa una nuova commessa tecnologica in Cina, nel campo dei fertilizzanti. Come si inquadra questo progetto nel percorso a supporto della transizione?

«Con la nostra tecnologia proprietaria ridurremo significativamente l'impatto carbonico di un impianto che produce fertilizzanti in Cina: ammoderniamo il processo produttivo diminuendo del 25% il consumo energetico. Un risultato che conferma la nostra strategia di implementazione di tecnologie a basso impatto carbonico e green, in questo caso a servizio della catena dell'agrifood»

Lei ha iniziato qausi bambino. Come le è venuto in mente di occuparsi di ingegneria nei primi anni Ottanta?

«Avvio la mia prima azienda a 19 anni, avendo fatto lavoretti estivi in stage in una piccola società impiantistica di Roma. Avanzando negli studi ero bravo sui numeri ma volevo avviare una mia attività e un imprenditore romano mi ha aiutato. Da tre persone che eravamo 41 anni fa oggi siamo 9mila. Ci vuole passione, coraggio e un approccio meritrocratico. Servono tecnica e disciplina, anche finanziaria; e una visione, essere ottimisti, se no non si può fare l'imprenditore».

L' intuizione vincente?

«Volevo crescere prima di tutto in Italia e ho cercato le persone che servivano: gli ingegneri. Allora le società di ingegneria le vendevano tutti, rischiando di disperdere le competenze, mentre io invece ho sempre creduto nei cervelli. Poi contrariamente a chi diceva che l'energia doveva essere solo supergreen, noi abbiamo puntato prima su un'altra cosa: la decarbonizzazione».

Vale a dire?

«Prendiamo il gas: non è un prodotto green, ma noi abbiamo la tecnologia che lo può decarbonizzare, lo trasforma in un prodotto blu, nel senso che Togliamo la CO2 alla fonte: quello è il mercato della vera transizione. Nel medio periodo l'obiettivo è rimpiazzare gradualmente il fossile con un prodotto sostenibile che stia sul mercato. Si tratta di azzerare le emissioni di CO2 in atmosfera , e noi lì arriviamo».

Quindi non solo vento e sole, questo vuole dire?

«Ci vuole un mix di soluzioni: noi mettiamo a punto tecnologie per trasformare i materiali ed estrarre combustibili neutrali dal punto di vista carbonico. Da una discarica di rifiuti, per esempio, con la tecnologia NextChem, che li tratta senza bruciarli, come un microonde dei rifiuti, estraiamo 1/3 di petrolio equivalente. E con il materiale inerte che resta si può fare il cemento o la ceramica».

Sono parte della famiglia dei famosi bio carburanti - tra cui il metanolo a basso impatto - che la Ue non voleva accettare.

«Sono il petrolio del terzo millennio. Una discarica da 60 milioni di tonnellate serve l'intero parco dei motori diesel italiani. È fondamentale che l'Italia prosegua la battaglia sulla neutralità tecnologica. È la nostra forza. La Francia ha i reattori nucleari, noi no, ma possiamo trasformare i nostri rifiuti in materia prima equivalente e pulita».

Dica dell'auto elettrica.

«Per me le auto saranno in gran parte elettriche, ma questa non va considerata come l'unica soluzione. Le elettriche fuel cell con 5 chili di idrogeno fanno 500 km. Allora devono poterci essere anche i motori endotermici con biocarburanti, derivati da scarti vegetali e da rifiuti. In questo modo si valorizzano risorse e si salvano anche le filiere. Il concetto è la decarbonizzazione: fare qualcosa in più, non in meno. Ma senza ideologia. L'idrogeno blu è una delle soluzioni. Perché quello verde lo devi sussidiare. Il carburante prodotto da rifiuti riduce fin da subito le emissioni del 70%, restando sostenibile e salvando posti di lavoro. Questa è la transizione. Non si può passare all'istante dal fossile al verde. Serve, per l'appunto, una transizione».

Maire è quotata in Borsa, è una storia di successo. Perché piace agli investitori?

«Tendiamo ad anticipare i nostri obiettivi, come abbiamo fatto con il nuovo piano presentato a marzo, aggiornando alcuni target con 4 anni di anticipo. I clienti hanno sempre più necessità di decarbonizzare l'industria. Poi siamo cresciuti di dimensione ovunque e oggi abbiamo un imprinting europeo: Siamo una multinazionale italiana, ma abbiamo rafforzato la nostra capacità di ingegneria in Europa, per un totale di 400 persone. Siamo in Olanda, abbiamo, due aziende in Germania di cui una appena acquisita. Recentemente abbiamo firmato per l' acquisizione di un'altra società a Roma e una in Polonia».

Avevate puntato molto sulla Russia, avete dovuto cambiare in corsa?

«In Russia abbiamo chiuso completamente.

Avevamo diversi progetti, li abbiamo chiusi, e poi ci siamo focalizzati su middle east e Asia. Una grande organizzazione deve saper reagire per convivere con fenomeni geopolitici sempre più frequenti. E solo facendosi le domande arrivano le risposte».

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