Il pre-accordo raggiunto sotto la supervisione del governo e che ora deve superare il referendum tra i lavoratori (la consultazione dovrebbe iniziare domani per concludersi lunedì 24), conferma che la soluzione della nuova crisi di Alitalia resta un fatto tutto italiano. Il socio arabo al 49%, Etihad, in questa fase appare defilato, come in calo appare il prestigio del management da esso espresso: il vicepresidente James Hogan, dimissionario dal giugno prossimo, e l'ad Cramer Ball, ridimensionato dall'arrivo del presidente con deleghe Luigi Gubitosi. Si assiste quasi all'epilogo di una vicenda che ha visto l'arrivo del Cavaliere bianco, pieno di soldi e competenze, che avrebbe dovuto risanare una società che da quasi 20 anni non rivede l'utile. Nel 2014, quando ci fu la lunga trattativa tra i soci italiani di Cai e la compagnia di Abu Dhabi, furono assecondate tutte le richieste di quest'ultima, e apparve chiaro che il rilancio le veniva completamente affidato. Etihad in Alitalia ha messo propri uomini nelle posizioni di comando, ha ridisegnato il business e promesso il ritorno all'utile nel 2017. Oggi si vede che tutto questo non ha funzionato e si stima che anche quest'anno il terzo esercizio firmato Etihad le perdite si conteranno in centinaia di milioni. Allora è legittimo chiedersi: Perché Alitalia è sempre al punto di partenza? Dove si è sbagliato? Il controllo operativo era stato affidato al socio arabo. Gli è stata consegnata una compagnia ripulita di debiti, con una flotta ristrutturata, personale ridimensionato e una dotazione di capitale fresco che doveva farla ripartire. Quasi una start-up. Favorita anche dal prezzo clemente del petrolio.
Col senno di poi si possono capire alcuni nodi fatali. Innanzitutto la nuova Alitalia è nata con pochi capitali (un miliardo o poco più, comprendendo gli acquisti da parte di Etihad del programma Mille miglia e degli ultimi slot a Heathrow). Insufficienti per rafforzare la flotta, e rendere competitivo il network. Sul lungo raggio, il comparto più redditizio, Alitalia non ha avuto mano libera. A Est, soprattutto verso Cina e India, due dei mercati che crescono di più al mondo, Alitalia è stata frenata dalla concorrenza del suo partner, il cui interesse è portare i passeggeri all'hub di Abu Dhabi, da dove farli ripartire verso Oriente: oggi le frequenze di Alitalia per Abu Dhabi sono 62 al mese, più le 186 di Etihad, per 45mila posti in tutto. Anche a Ovest Alitalia è stata limitata, perché l'alleanza a quattro con Air France, Klm e Delta l'ha vista bloccata in una condizione di debolezza. Smontare questi accordi avrebbe comportato forti penali che però, forse, poteva aver senso mettere in conto. Oggi ci si affanna a cercare soluzioni tardive.
L'offerta di Alitalia sul lungo raggio è così inadeguata a realizzare una rete di collegamenti efficiente: nel senso che il feederaggio è in perdita. Un conto è portare passeggeri in un hub per servire molte tratte intercontinentali, un conto è servirne poche. Il management tanto esperto non ha portato risultati, se si escludono i nuovi sedili in pelle, le divise delle hostess e le livree degli aerei.
Del resto, vacilla tutta la strategia di alleanze di Etihad in Europa: né in Germania (Air Berlin), né in Svizzera (Darwin) né in Serbia (Air Serbia) l'acquisto di quote di minoranza in compagnie da rilanciare è stato un successo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.