Uber prova a rifarsi il make up dopo i recenti scandali e sceglie un rifugiato iraniano, Dara Khosrowshahi, per la guida del gruppo. Classe 1969, Khosrowshahi è emigrato negli States nel 1978 in seguito alla rivoluzione iraniana e oggi è noto per le posizioni in decisa polemica con il presidente Donald Trump. Il manager, sempre che l'accordo vada in porto, ha sbaragliato la concorrenza dei favoriti Meg Whitman, alla guida di Hewlett Packard Enterprises e di Jeff Immelt, direttore generale di General Electric. Il mandato di Khosrowshahi, da dodici anni al vertice di Expedia, è chiaro: riportare la pace nell'azionariato del gruppo dopo lo scontro infuocato con il co-fondatore Travis Kalanick che ha infiammato l'estate portando a giugno alle sue dimissioni dal vertice del gruppo e fare rotta su Wall Street alla valutazione più levata possibile.
La piattaforma di auto a noleggio con guidatore è infatti tra gli «unicorni» più attesi dal mercato e l'ultimo round di finanziamenti ha valutato il gruppo 68 miliardi di dollari, oltre dieci volte il fatturato nonostante un rosso di 3 miliardi. Non solo. Wall Street può essere decisamente generosa con le idee che funzionano e i multipli della futura potranno valorizzare Uber anche di più, soprattutto se sarà cancellata l'onta sessista dall'immagine del gruppo, ripristinando nella «narrazione» della società creata nel 2009 l'iconica rappresentazione del sogno americano ad opera, questa volta, di un ingegnere iraniano.
Da febbraio su Uber si sono riversate una serie di denunce per molestie sessuale, truffa e perfino per spionaggio industriale in merito alla tecnologia di guida autonoma a danno di Alphabet. Una vera e propria bufera legale che ha portato a un crescendo di tensioni all'interno del gruppo. In particolare, a febbraio, Susan Fowler, ex impiegata di Uber, ha sostenuto di essere stata molestata sessualmente e di aver subito discriminazioni nella compagnia. L'indagine interna che ne è seguita ha fatto emergere molteplici comportamenti sessisti e ha portato al licenziamento di venti dirigenti. Ad aggravare la situazione è poi arrivata la denuncia di Kalanick per truffa alla corte del Delawere da parte del fondo Benchmark, uno principali investitori di Uber (con il 13% del capitale pari al 20% dei diritti di voto). Per Bill Gurley, a capo del fondo Benchmark e un tempo mentore dello stesso Kalanick, quest'ultimo pur consapevole già da tempo delle problematicità aziendali, avrebbe ottenuto tre posti aggiuntivi in cda da destinarsi ai propri rappresentanti. In questo modo, secondo il fondo, l'imprenditore si sarebbe potuto tutelare di fronte alle eventuali accuse di cattiva gestione.
Peraltro, in attesa che i tribunali decidano sulle accuse, la guida di Travick ha fatto decollare la valutazione della partecipazione detenuta della stessa Benchmark passata dagli iniziali 27 milioni agli attuali 8,4 miliardi. Lo hanno evidenziato, pochi giorni fa, Shervin Pishevar e Steve Russell azionisti di Uber e i paladini di Kalanick che hanno chiesto a gran voce che sia Benchmark a fare un passo indietro cedendo le proprie quote.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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