Emilio Vedova, interno berlinese

Se non a Berlino, dove poteva essere allestita la più completa retrospettiva mai dedicata in trasferta al veneziano espressionista Emilio Vedova? Con l’opera di tutta una vita, nella Berlinische Galerie: «Emilio Vedova 1919-2006», allestimento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma in collaborazione con la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Dagli approcci architettonici veneziani fino alle accelerazioni del barocco e alla sua recrudescenza nell’astrazione dei boati cromatici dei Tondi, dei Plurimi, nell’Assurdo Diario Berlinese, e ancora nel curioso e attardato inserto di fascinazioni cubiste e dada.
Tra il 1963 e il 1965 Vedova è a Berlino con una borsa di studio; una visita motivata con queste parole: «Sono a Berlino, dopo le aberrazioni naziste, perché volevo esperire nelle sue vie l’irrequieto ingranaggio della vitale Babele animata un tempo dal critico spirito democratico di Grosz, Dix, Beckmann». Qui cercava - al di là di ogni opportunismo speculativo - non il socialismo democratico di Berlino, ma la sua attitudine di teatro fertile ai contrari. Aspetto che nella mostra della Berlinische Galerie viene rimarcato da un vano allestito con sei grandi tele di Georg Baselitz nell’Omaggio a Vedova, proveniente dal padiglione veneziano dell’ultima Biennale. Qui le linee astratte dell’iconografia di Vedova tornano a coagularsi in figura umana ironizzata come in Bandiera Rossa ’65. È Baselitz stesso a scrivere: «Vedova era un partigiano che amava la Rivoluzione, le grandi gesta dell’Espressionismo e me. Ma io non ero espressionista e disprezzavo la Rivoluzione. Ridevo di lui, che mi guardava sgomento...». Baselitz, amico di una vita espulso dall’Accademia di Berlino Est, perché giudicato «politicamente inadatto al socialismo».
Emilio Vedova si accendeva di miti, ma è stato un artista che è appartenuto solo a se stesso. Che di correnti ne ha viste e fondate tante (dalla Nuova Secessione Italiana al Fronte Nuovo delle Arti), per poi lasciarle alla deriva. Conservandone la maturazione iconografica o per dissacrarle in dissonanze, come fece nella crisi di certezze insieme a Luigi Nono con il pezzo teatrale Intolleranza ’60, i cui Plurimi per le scenografie sono in mostra a Berlino.
Il suo sprone è stato Venezia, non per l’incanto della tradizione, ma per il risentimento covato dal genio per l’incanto. Tutto in lui esplodeva per «colpa» della Serenissima, amata e deprecata. Allora l’unica via possibile, per «squinternarne» l’adagio, era il pigmento da sparo, la polveriera espressionista.

E ci riuscì approdando nell’unico porto franco per un demone arrabbiato: Berlino.
LA MOSTRA
«Emilio Vedova 1919-2006», Berlino, Berlinische Galerie, alte Jakobstrasse 124-128, fino al 20 aprile. Info:www.berlinischegalerie.de.

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