Se il leghista Roberto Calderoli armeggia con la scure non è per prender parte a un revival celtico sulle rive del Po. Il ministro per la Semplificazione normativa è deciso a sfrondare sprechi e privilegi annidati tra i rami secchi dell’autonomia. Parolina magica che nell’Italia delle poltrone comode spesso finisce per far rima con anarchia.
Pronti, via: così restano in bilico le sorti di trecentocinquantasei comunità montane (duecentodiciotto di queste sarebbero pronte per l’abolizione), sessantatré bacini imbriferi montani, centonovantuno consorzi di bonifica, centoquarantadue enti parco regionali, duecentoventidue autorità territoriali, seicento enti strumentali regionali e il ben di Dio di trecentoquarantaquattro circoscrizioni comunali.
Esultano all’annuncio della sforbiciata gli italiani allergici a burocrazia e labirinti di poteri, già si agitano certi strenui difensori dello status quo. Ecco l’Anci per bocca del presidente (nonché primo cittadino pd di Torino) Sergio Chiamparino: «Alla bozza di riforma manca la dimensione critica del problema»; più tranchant il sindacato Flai-Cgil: altro che risparmi, la manovra è solo «il frutto di una miopia tutta padana, qualunquista e populista». Parole. Ma nel frattempo avvengono anche fatti concreti: la riforma farà giovedì prossimo il primo passo dell’iter per l’approvazione, quando il disegno di legge sul nuovo Codice della autonomie approderà all’esame del Consiglio dei ministri. Per ora, vediamo da vicino su cosa andrà ad abbattersi la lama affilata dal governo in attesa del «sì» del Parlamento.
COMANDA IL TERRITORIO
Il Paese dei campanili trova formale legittimazione nel Testo unico sugli enti locali del 2000. In nome del principio di rappresentanza ci ritroviamo oggi 8.100 sindaci e 95.118 consiglieri comunali. Gli assessori comunali intanto sono 23.527, mentre l’esercito dei consiglieri circoscrizionali o di zona conta 6.538 unità. Se il nuovo Codice per le autonomie diventasse legge avremmo 3.074 assessori in meno, 34.982 consiglieri comunali «a casa» e 4.785 consiglieri di quartiere avrebbero improvvisamente molto più tempo libero a disposizione... Capitolo province: oggi sono 108 con 2.548 consiglieri e 774 assessori in organico, «domani» si ridurrebbero rispettivamente a 1.866 e 446. Soltanto in questo modo, senza scoperchiare il calderone rappresentato dagli enti intermedi, rinunceremmo a quasi 45mila «eletti». Sarà per questo che alzano le barricate?
POLITICI DA STRADA
Lo strano meccanismo dei consigli circoscrizionali, i micro parlamentini di prossimità chiamati a volte municipi, altre quartieri o consigli di zona, fa sì che siano obbligatori nelle città con più di 100mila abitanti e «consentiti» in quelli con più di 30mila. Risultato, carta bianca alle singole realtà, che raramente si privano di tali organi di «indirizzo e controllo politico-amministrativo» (leggi raccoglitori di voti). Perciò balzano agli occhi alcune situazioni a dir poco assurde. Il record italiano di consiglieri in rapporto alla popolazione spetta a Gorizia, 10 circoscrizioni, 132 rappresentanti per 35.401 abitanti. Sarebbe a dire uno ogni 268 cittadini, praticamente un condomino di Milano, laddove ce n’è uno ogni 3.205. Seguono nella speciale classifica della politica a misura di strada, Ascoli Piceno (un consigliere ogni 348 abitanti), Foligno (rapporto di 1/375), Novara (1/409), Nardò (Lecce, 1/410) e L’Aquila (1/438). L’elenco è sterminato, da Nord a Sud non ci si fa mancare niente. Come succede a Messina, che ha il doppio di consiglieri di Palermo (240), che pure conta una popolazione tre volte più numerosa. Asti vanta 110 consiglieri e il 40 per cento di circoscrizioni in più del capoluogo Torino. Grandi e piccoli, non c’è differenza. D’accordo, il Chievo Verona è in serie A, ma anche in Sardegna i borghi giocano duro. Nella sarda Carbonia compaiono quasi le stesse circoscrizioni di Cagliari (5 contro 6) pur avendo una popolazione oltre cinque volte inferiore. Lucca idem, batte Firenze per 9 a 5. La logica è: conti qualcosa solo se ti fai rappresentare da qualcuno.
SODDISFATTI E RIMBORSATI
Nulla si fa per la gloria e tanta fatica sprecata in partecipazione democratica va certo riconosciuta. Siamo al discorso dei gettoni di presenza. Anche qui, la legge concede massima libertà. Posto che vai generosità che trovi, quindi a Palermo un consigliere di zona intasca il triplo che a Bologna. Qualche cifra per intenderci. A Napoli l’impegno di qualche ora a settimana può fruttare fino a 950 euro al mese, a Catania addirittura uno stipendio di tutto rispetto in tempo di crisi e visti i canoni del Sud, cioè 1.500 euro tondi a 156 fortunati cittadini. Beati loro, perché a Milano ad esempio uno stakanovista delle riunioni di quartiere può raggiungere al massimo i 511 euro mensili (46 euro e 45 centesimi netti a seduta, il limite tollerato è di undici gettoni). A Pistoia si sono organizzati per aggirare l’ostacolo. Nessun tetto alle presenze in assemblee o commissioni.
Un’oretta di chiacchiere su quella fastidiosa buca nell’asfalto non è forse il modo migliore per arrontondare?
giacomo.susca@ilgiornale.it
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