nostro inviato a Como
Un maglione rosa che sembrava stridere nella cappa d’angoscia di quella scena da incubo, nella corte di via Diaz, illuminata solo dalle fotoelettriche dei vigili del fuoco e dai lampeggianti delle ambulanze e dei carabinieri. Un maglione rosa e «quello sguardo». Anzi, quegli occhi che «non avevo mai visto così tranquilli, sereni. Quegli occhi che sembravano dire: Proprio a lei signor Castagna. Mi dispiace». «Quei due si inventavano i rumori anche quando rumore non ne facevamo. Una volta, mentre rientravamo dopo la spesa, vidi la Bazzi che schiaffeggiava mia moglie. Sono intervenuto per difendere Raffaella e anche il signor Romano intervenne per difendere sua moglie».
Carlo Castagna e Azouz Marzouk. Il padre dai rigidi principi morali, ma in fondo sempre tenero e comprensivo nei confronti di una figlia difficile da «governare». E il marito tunisino, dalla controversa reputazione, che aveva rapito il cuore di Raffaella ed era piombato, come un terremoto nella vita di ordinaria quotidianità di una notissima famiglia di mobilieri della Brianza. Carlo Castagna e Azouz Marzouk, i due uomini più importanti della vita di Raffaella e pure, per le scelte della stessa Raffaella, messi in qualche modo l’uno contro l’altro. Due uomini lontanissimi, divisi da un abisso di mentalità e di comportamenti che si ritrovano uniti all’improvviso. Nel surreale contesto di un processo per la strage delle loro famiglie, in un’aula di Corte d'Assise. E che, uno dopo l’altro, succedendosi sulla sedia dei testimoni, puntano il dito contro Olindo Romano e Rosa Bazzi. Carlo Castagna sembra schiacciato dal peso di un’emozione troppo grande quando comincia la sua deposizione: «Erano quasi le 22 mia moglie Paola non era ancora rientrata a casa dopo aver accompagnato Raffaella e il piccolino, allora presi la macchina e andai in via Diaz. Vidi i carabinieri, le ambulanze i pompieri, la gente fuori. Un militare mi prese per il braccio e disse: signor Castagna è successa una disgrazia. Poi la verità. Chiamai Beppe, mio figlio. “Sono morti tutti”, riuscii a balbettare al telefono. Mi sentivo gelare, guardai attorno e mi colpì quel maglione che indossava Olindo. Mi colpì lo sguardo. Insolitamente dolce. Lui che mi aveva sempre guardato con ferocia. Mia moglie Paola cercava di tenermi al riparo dalle liti fra Raffa e i Romano. Ma io ne ero a conoscenza ed ero sempre intervenuto per mediare». Si interrompe Carlo Castagna, le parole gli si spengono sulle labbra. «Eppure per quei due il turpiloquio era l’abitudine, era lo sport che praticavano di più. Arrivarono a telefonarmi anche alle tre di notte per insultarmi e insultare Raffaella: “quella bastarda di tua figlia fa casino falla smettere”. E bastardo e figlio di p... era anche il piccolino, Youssef che pure quando li vedeva nella corte sorrideva loro e voleva avvicinarsi scambiando quegli insulti per dei complimenti». Continua trattenendo ancora una volta a fatica le lacrime: «Lo sguardo di Olindo la notte della strage mi era rimasto impresso tanto che qualche giorno dopo, recitando le preghiere ci ripensai e mi venne spontanea una domanda: e se fosse stato?... No, mi dissi, Carlo, non può essere così, non pensarci, non può essere andata così. Ma quella domanda tornava insistente nella mia mente, specie dopo che una nostra amica aveva sollevato un dubbio: ma come è possibile che nessuno in quella corte abbia visto entrare e uscire nessuno. Ecco in quel momento fu come se avessi avuto una sorta di presagio». Tocca ad Azouz, attualmente detenuto per spaccio di stupefacenti. Tiene il capo chino. Racconta anche lui di telefonate in piena notte dei Romano che li accusavano di far rumore anche mentre lui e Raffaella dormivano. Racconta di chiamate insistenti al citofono e di insulti.
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