Un «Ercole» senza veli che scandalizza Spoleto

Debutta l’opera inedita del compositore con scene mastodontiche e costumi succinti

Elsa Airoldi

da Spoleto

Si parla troppo poco di Spoleto. Anche se basterebbe la sua piazza. Con Gian Carlo Menotti genius loci e suo figlio Francis regnante, il festival ha aperto con il concerto di un esuberante Gustavo Dudamel ed è proseguito con incontri, proiezioni e danze. Il cuore della rassegna resta però la produzione operistica. Per il 2006 Ercole sul Termodonte. Un Vivaldi perduto e ritrovato, nato per il Palazzo Capranica di Roma nel 1723. L’ha cercato per anni il musicologo satunitense Alan Curtis. Ne ha rintracciato il libretto e una trentina di arie. L’ha ricostruito e fatto ricostruire (Alessandro Ciccolini). Eccolo qui. Giganteschi, contenuti a stento dallo spazio del Caio Melisso, i cantanti sembrano più erculei di Ercole. Il magnifico teatrino non è esaurito e l’opera non scorre granché. Ma è pur sempre una prima moderna di Vivaldi.
Le scene, che con regia e costumi di John Pascoe sono gran parte dell’operazione, si sviluppano nel nome della lotta tra i sessi. Per uomini e donne una gradinata di marmo nero e grandi specchi laterali. Quindi, per la reggia di Ercole, monumenti alla virilità castrata che riprendono un celebre reperto dell’isola di Delos. Per la reggia-tempio di Antiope poetici ulivi veri. La lettura antimaschilista e antimitarista fa dei greci un esercito di stupratori, mostrando Ercole nella fragilità di un nudo integrale mascherato dalle zampe del leone appena ucciso. Certo, il riferimento alla statuaria greca c'è. A vacillare è semmai il gusto. Le donne amazzoni vagano in tenuta sado-maso, con pantacollant argentati, tacchi a spillo e un seno di fuori. Una storia tragicomica racconta di Ercole nella fatica che lo lancia contro la regina delle Amazzoni Antiope. Degli imprevedibili innamoramenti che addolciscono gli animi garantendo il lieto fine. Tanto che persino lui, mosso a pietà dalla disperata aria di furia di Antiope, le restituisce le armi appena conquistate. Allora appare Diana, e tra i fumi «meravigliosi» che escono dalla sua testa, un’altra Diana aerea e trionfante.
Sarà perché ci siamo appena innamorati del Purcell scaligero di Hoogwood, ma questo Vivaldi lascia perplessi. Intanto la grevità del regista, poi le voci. E persino il celebre Complesso Barocco di Alan Curtis, appare monotono dunque poco barocco. Non mancano alcuni momenti di vibranti affetti.

Il cast è dominato dalla solida vocalità e adeguatezza stilistica del mezzosoprano Mary-Ellen Nesi. Corretti il controtenore Randall Scotting e il tenore Luca Dordolo. Discrete Marina Bartoli e Laura Cherici. Ingolato il protagonista Zachary Stains. Il buio cala sul coro. Spoleto? Ne vale sempre la pena.

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