nostro inviato a Trieste
Nella sua prima vita, Antonio era un uomo con una moglie, un figlio, un lavoro in una ditta di termoidraulica e una passione: la palestra. Fu una bella sorpresa per gli operatori del Cedig veder comparire questo marcantonio dalle spalle larghe e la mascella volitiva. Ora spalle e mascella sono quelle di prima, come la stretta di mano; Antonella però porta i capelli lunghi, un filo di trucco, due orecchini di perla. Il seno non è spuntato grazie al bisturi del chirurgo plastico ma per gli ormoni assunti da oltre dieci anni.
«Dicono che cambiare sesso sia una scelta racconta ma io non ho scelto. L'alternativa era accettarmi come Antonella oppure farla finita. Ho scelto di vivere, di difendere mio figlio. E l'arma vincente è stata quella di agire con discrezione, senza ostentare nulla, ma di non nascondermi. E di usare tanto buon senso. Stavo male io, però vedevo anche la sofferenza di chi mi era vicino. Per una famiglia assistere a questa trasformazione è devastante. Bisogna dare tempo a se stessi e agli altri». La sua è la storia di un uomo che ha fatto il militare, ha un lavoro maschile, un fisico palestrato e da bambino non ha mai giocato con le bambole, «anche se percepivo qualcosa che nel contesto familiare e sociale di quarant'anni fa non si poteva capire. Quando è nato mio figlio qualcosa è cambiato dentro di me. È come se fossero caduti dei paraventi».
Ma assieme ai paraventi è precipitata tutta la vita: licenziati i dipendenti, allontanata la moglie, restavano le notti in azienda davanti al computer. «Una sera lessi la vicenda di una certa Valeria P. La sua storia era la mia. Non sapevo che cosa fosse la transessualità e cominciai a documentarmi. Un lungo travaglio, un combattimento interiore, con la parte razionale di me che chiedeva Antonio, cosa fai?». La moglie tagliò i rapporti e lo portò in tribunale. Cominciò la trafila delle perizie psichiatriche.
«A Milano mi diagnosticarono la disforia. Presi contatto con un endocrinologo e iniziai la cura ormonale. Il vero problema però era proteggere mio figlio. Scelsi la strada del rispetto. Poco trucco, vestiti sobri, ho messo le gonne solo dopo aver cambiato nome all'anagrafe. Le volte che andavo a prendere il piccolo a scuola, gli altri genitori preoccupati mi guardavano storto. Un'eccentrica. Ma parlare non fa male. Qualcuno capiva. E anch'io dovevo capire ciò che mi capitava. Che genitore volevo dare a mio figlio? Un papà arrabbiato e represso o una persona che non vive più nel malessere? Mi sono accettata e ho deciso di essere me stessa».
L'intervento per il cambio di sesso risale al 2010. «Accanto a me c'era un signore sardo che doveva allungare il pene, ricordo che scherzai con gli infermieri: occhio a non scambiare i cartellini... È stata una rinascita dopo una lunga via crucis. Dopo sei mesi andavo già i bicicletta. Alcune conoscenze le ho perse, altre ne ho fatte di nuove. Ora ho una grande serenità interiore, ho un compagno e un equilibro affettivo. La madre di mio figlio non ha mai accettato, ma i miei familiari sì.
Con mio fratello abbiamo riaperto un'azienda termoidraulica assieme, lui è il titolare, io non vado più a fare la manutenzione delle caldaie per motivi fisici ma seguo il commerciale. E se vado nelle assemblee condominiali a presentare qualche adeguamento termico vendo più di prima».SFil
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