Gli eroi della Luna? Ora sono lunatici Lo strano destino dei nove di Apollo

Alcolizzati, ossessionati, mistici, inquieti. Tutti gli astronauti che hanno messo piede tra i crateri ci hanno lasciato il senno

Nino Materi

Con i piedi sono tornati sulla Terra, però la testa è rimasta tra le nuvole; anzi, molto più in alto delle nuvole: precisamente sulla Luna. Da anni i nove astronauti sono «lunatici», ma non nel senso che sanno tutto sul satellite. No, loro sono diventati «lunatici» (nel senso di mezzi matti) dopo l’indescrivibile emozione di aver messo piede sull’unico suolo «alieno» che un essere umano abbia mai calcato. Nove personaggi entrati nella mitologia spaziale per essere stati - insieme ad altri tre sfortunati colleghi deceduti negli ultimi anni - i soli a passeggiare tra i crateri extraterrestri.
Un’esperienza che lascia il segno. Eccome se lo lascia: i «maratoneti lunari» scesi dalla scaletta nel corso delle varie missioni Apollo - al momento - risultano infatti decisamente «fuori di testa». Il giornalista Andrew Smith, che ha dedicato alle loro storie il libro «Polvere di Luna» (Cairo Editore) non usa certo questa espressione, ma il risultato a cui è giunto al termine di una documentata inchiesta è proprio questo.
I fantastici supermoonmen made in Usa Charlie Duke, Edgard Mitchell, Richard Gordon, Buzz Aldrin, David Scott, Alan Bean, John Young e Gene Cernan dal loro volo cosmico non si sono più ripresi. Ecco le prove: Charlie Duke (cosmonauta lunare nel 1972) sulla Luna c’è rimasto tre giorni («le ore più euforiche della mia vita»), dopo di che è tornato a casa e per anni ha picchiato moglie e figli, riuscendo a darsi una calmata solo dopo aver trovato la fede: Charlie attualmente è a capo di un gruppo di preghiera cristiano a New Braunfels, Texas.
Rotelle leggermente fuori posto anche per Edgard Mitchell che, di ritorno dall’escursione nell’universo, si è dedicato anima e corpo alla ricerca di una non meglio precisata «intelligenza galattica». Preoccupante anche il bollettino medico di Gene Cernan, che da Apollo 17 non fu più lo stesso: «Depressione e sindrome da psico-implosione». Decisamente più terrena l’aspirazione di Alan Bean, reduce di Apollo 12, specializzatosi nel dipingere scene cosmiche. Unica stravaganza, il soggetto; sempre lo stesso: la Luna. Una fissazione al centro delle sedute psicanalitiche a cui Alan si sta sottoponendo da anni.
Buzz Aldrin, invece, ha preferito attaccarsi alla bottiglia e per lui uscire dal tunnel dell’alcolismo e della depressione è un’impresa disperata: quando ci dà dentro col Jack Daniel’s pare elabori dei rivoluzionari «progetti spaziali» presi sul serio solo dal suo barista di fiducia. Richard Gordon sbarca (è proprio il caso di dirlo) il lunario facendo il conferenziere showman in tour fantasy senza trascurare neppure il gettone di presenza offertogli in occasione delle convention dei fan di Star Trek. Visioni mistiche a go-go per Jim Irwin che giura di aver udito il «sussurro di Dio ai piedi dei maestosi e dorati Appennini lunari». Al suo ritorno sulla Terra, ha infatti lasciato la Nasa per tuffarsi nella volta celeste della Chiesa cattolica.
Lo stesso Neil Armstrong è forse quello che ha pagato di più il prezzo della sua celebrità, trincerandosi nel silenzio quasi autistico di chi non riesce a tollerare l’eterno ripetersi della domanda: «Che cosa hai provato quando sei sceso sulla Luna?».
Ma quando Andrew Smith scoprì che erano rimasti solo in nove - nove dei dodici uomini che avevano messo piede sulla Luna dal 20 luglio '69 al 15 dicembre '72 - decise che era arrivato il momento di porre lo stesso quesito a tutti i superstiti di quella grande epopea. Grande in ogni senso, considerato che il «programma lunare» costò 25 miliardi di dollari degli anni ’60 e che, al suo apice, la Nasa inghiottiva il 5% del bilancio federale statunitense. Ma che cosa aveva ottenuto l’umanità dal capriccio di chi volle lanciare la sua nazione verso la Luna? Smith non dà risposte, ma regala scenari.
Quando nel ’72 la conquista spaziale del presidente Kennedy raggiunse il momento di implosione, «un fan nero dei Rolling Stones era stato picchiato a morte ad Altamont»; «JFK, Bob Kennedy e Martin Luther King non erano altro che un ricordo sbiadito». «Il Vietnam si era davvero concluso - nota Smith - e la controcultura sorta in contrapposizione alla guerra si stava disperdendo nel nulla, come la sabbia al vento del deserto; mentre montava il Watergate, il conflitto razziale subiva un’escalation». Smith è lui stesso un baby-boomer classe ’61 e quella è anche la sua storia, la storia di chi è cresciuto cullato dal sogno colorato dei Beatles e della rivoluzione pacifista dei figli dei fiori. Ed ecco tornare sempre la vecchia domanda: come si vive dopo che hai attraversato la solitudine di «the dark side of the moon»? «Fra tutti gli eventi che hanno scosso il mondo, l’allunaggio di Apollo 11 è l’unico che non ha a che fare con la morte», scrive Smith... Vero. A vederlo così, da lontano, sembra un sogno collettivo, una favola da fumetto della vita reale.
Tra il 1969 e il 1972 sei astronavi raggiunsero il suolo lunare. A bordo di ognuna, tre uomini: uno che restava in orbita sul modulo e due che scendevano a terra. Quindi 12 uomini in tutto hanno camminato sulla Luna. Si ricordano soprattutto i primi due, Armstrong e Aldrin e le parole del primo quando scese nella zona chiamata Mare della tranquillità: «Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità».
In tre anni, quella che sembrava essere la più grande avventura dell’umanità finì, sulla Luna non ci andò più nessuno e l’uomo (l’uomo americano soprattutto) da un lato volse gli occhi verso pianeti più lontani e dall’altro ridusse per decenni le gigantesche spese legate allo spazio persuaso anche del fatto che non c’era più nessuna gara da vincere con i rivali della Guerra fredda.


Altro interrogativo interessante di «Polvere di Luna»: come nacquero e perché i complottisti della teoria della montatura, del «falso allunaggio». Alla giornalista che gli aveva posto la domanda, Buzz Aldrin spaccò il muso sferrandole un cazzotto.

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