Ci potrebbero essere infiniti modi di raccontare quello che è successo a Dallas, Texas, il 22 novembre 1963. Si dice che alle 12 e trenta di quel giorno, con tre colpi di fucile (ma esiste una teoria su un quarto colpo che piacerà sempre ai complottisti), l'America abbia perso l'innocenza.
Non l'ha persa per la morte violenta del suo presidente, John Fitzgerald Kennedy. Di presidenti, prima di Kennedy, ne erano stati assassinati altri tre: Abraham Lincoln, James A. Garfield e William McKinley. L'ha persa perché nell'epoca della Guerra fredda, e del trionfo dei media, ogni possibile verità su ciò che è accaduto si è trasformata in una teoria in mezzo a centinaia di altre teorie. Con la morte di Kennedy in America ha smesso di esistere la verità. E allora proviamo a mettere in fila i fatti per ottenere una narrazione, se non vera, fattuale. Già attorno al 20 novembre sul viaggio a Dallas del Presidente, negli ambienti a lui vicini, serpeggiava un certo nervosismo. Dallas era considerata zona ostile alla campagna di rielezione e alla politica di Kennedy. Erano arrivate tante minacce, si temeva anche l'eventuale infiltrazione di cubani fedeli a Castro nel mondo dell'immigrazione che proveniva dall'isola, Cia ed Fbi erano in allarme. Il presidente ignorava sistematicamente tutte le allerta. Era assolutamente convinto che la politica si facesse stringendo le mani. Il fatto di girare con una macchina coperta non veniva nemmeno considerato.
Quel venerdì era prevista pioggia e questo avrebbe comunque costretto a montare sulla macchina una calotta di plastica. Non a prova di proiettile ma che avrebbe reso la vita difficile a qualsiasi cecchino. Uscì di colpo il sole. Il corteo presidenziale procedeva a circa 25 all'ora. Per evitare un quartiere ritenuto antiestetico si era deciso di far passare la processione di auto in Dealey plaza, di fronte al deposito libri della Texas School. Lee Harvey Oswald, ex marine con la passione per Castro e un tentativo di emigrazione in Urss alle spalle, era stato assunto come magazziniere in quel deposito il 15 ottobre. E qui bisogna fare una piccola pausa e mettere i puntini sulle i su un fatto spesso mistificato: Oswald era un ottimo tiratore sin dal tempo dei marines: in poligono riuscì a colpire 48 bersagli su 50 a una distanza più che doppia di quella massima da cui venne colpito Kennedy. Di fronte al deposito libri, alto sette piani, la Limousine presidenziale fu costretta a rallentare ulteriormente a causa di una curva stretta. La imboccò alle 12 e 29. Proprio in quel momento la moglie del governatore del Texas, Nellie Connally, che sedeva davanti con il marito, si girò dicendo a Jfk: «Signor Presidente, ora nessuno potrà dire che Dallas non la ama». «No davvero» rispose il presidente e si sentì un rumore secco. Se ne sentì subito dopo un secondo, il Presidente si portò le mani alla gola, evidentemente era stato colpito. Il governatore John Connally sobbalzò dicendo «No, no, no!» e iniziò a scivolare. Gli agenti di scorta reagirono con lentezza, anche se qualcuno di essi si girò visibilmente verso il deposito dei libri. Ma l'errore fatale fu dell'autista, rallentò invece di dare gas. Il terzo colpo raggiunse Kennedy alla testa facendogli esplodere la teca cranica mentre, con macabra sincronia, Connally si accasciò del tutto tra le braccia della moglie coperta di sangue. Solo a quel punto l'auto iniziò ad accelerare, ma era tardi, e un agente corse in soccorso di Jacqueline salita, con la forza della disperazione, sul bagagliaio della macchina a raccattare i pezzi del cranio di Kennedy.
Mentre il corteo presidenziale si dirigeva inutilmente verso il Parkland Memorial Hospital, la Dealey plaza precipitava nel caos. Molti dei testimoni però indirizzarono la polizia, a partire dal suono degli spari, verso il deposito libri. Lee Harvey Oswald venne subito fermato ma rilasciato (errore incredibile) per intervento del direttore del deposito, che lo identificò come dipendente. Al sesto piano venne ritrovata una finestra aperta con tre bossoli sul pavimento, lì vicino il fucile Carcano modello 91 che li aveva sparati. Erano le 12 e 45, il palazzo veniva messo sotto sequestro e solo allora ci si accorse che Oswald si era dileguato. Un altro errore (assurdo?). Venne immediatamente diramato un identikit. Un agente di pattuglia, J.D. Tippit, notò un uomo che corrispondeva alla descrizione, che si muoveva trafelato. Lo bloccò ma venne freddato a colpi di pistola. Tippit è il morto di quella giornata che quasi nessuno ricorda. Oswald venne inseguito da altri agenti dentro il cinema Texas, lì venne di nuovo raggiunto dalla polizia e arrestato. Non ci volle molto per capire che aveva acquistato per posta sia il fucile che la pistola.
Nel frattempo la notizia della morte di Kennedy aveva iniziato a rimbalzare per il mondo. Le testimonianze a moltiplicarsi, come i dubbi. Una immensa frana che sarebbe piombata sulla famosa commissione Warren. Tra i più noti teoremi che si sono susseguiti: i sospetti di un quarto sparo e l'impossibilità per Oswald di sparare 3 colpi in 7-8 secondi, l'impossibilità che un singolo proiettile abbia causato tutte le ferite di Kennedy e di Connally. Negli anni, diversi test hanno dimostrato che con un Carcano i colpi erano sparabili anche più in fretta di così. Per altro, i colpi sono stati sparati mentre Kennedy era ad una distanza compresa tra i 53 e gli 81 metri. Per un fucile una distanza ridicola. È quasi stupefacente che Oswald abbia sbagliato un colpo. Le analisi in 3D del famoso filmato di Abraham Zapruder (l'unico esistente dell'attentato) e degli spostamenti della macchina nella piazza hanno reso spiegabile il percorso del così detto proiettile magico. Sul secondo tiratore non è mai emerso nessun indizio convincente. Però col tempo ne sono emersi tanti sul possibile coinvolgimento di Cuba.
A volte spingere i dubbi verso una banale false flag politicamente irrilevante è meglio che lasciare che le indagini vadano verso percorsi pericolosi, percorsi da terza guerra mondiale. Per tutto il resto c'è il film di Oliver Stone, che fa arrabbiare gli storici ma ha cambiato la percezione collettiva.
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