Il CairoSe ne è andato. Dopo 30 anni al potere, il rais egiziano Hosni Mubarak si è dimesso sotto la pressione della piazza. E ha consegnato il potere all'esercito. «L'Egitto è libero»: dopo giorni di proteste, midan Tahrir, il cuore del dissenso del Cairo, è esplosa di gioia alla notizia. Il vice-presidente Omar Suleiman ha parlato alla televisione di Stato, per 20 secondi: «Hosni Mubarak ha deciso di lasciare la sua posizione di presidente della Repubblica, e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari della nazione. Che Dio ci aiuti». «Il popolo vuole la caduta del regime», hanno gridato per giorni i manifestanti. Ieri la folla ha aggiornato il suo mantra: «Basta, il popolo ha fatto cadere il regime». «Gli egiziani non sarà più lo stesso», ha detto il presidente americano Barack Obama ieri sera, in diretta anche sui canali nazionali egiziani. «Abbiamo il privilegio di assistere a un momento storico», ora inizia la transizione, la costruzione del Paese.
Per i ragazzi di Tahrir, come ormai li chiama tutto l'Egitto, quella di ieri è stata una serata di festa e di orgoglio. E dopo gli eventi di Tunisi, lo storico entusiasmo della piazza egiziana è un terremoto per il resto del mondo arabo. Ci sono i fuochi d'artificio, i fumogeni da stadio in piazza, tra un tripudio di bandiere, cappellini rossi bianchi e neri, i colori nazionali. I manifestanti ballano in cerchio, cantano. Ci sono tutti in strada: studenti, mamme, bambini, pensionati e lavoratori, donne del popolo e distinte signore con la piega fresca di parrucchiere. Ma ci sono soprattutto quei ventenni e trentenni che hanno fatto la rivoluzione. «Sto andando a Tahrir, non mi posso perdere la festa di questa notte. Non vedevo l'ora», dice Amira, una ragazza di 28 anni, mentre esce di casa. Molti altri come lei ieri hanno voluto esserci. La città, da giorni bloccata dal coprifuoco, ha ritrovato tutta la sua vitalità. Dai sobborghi e dalle periferie della megalopoli, migliaia di persone si sono mosse verso quello che è ormai diventato il simbolo di un'incredibile battaglia contro un rais testardo. «E' il giorno più felice della mia vita», ha detto il volto della variegata opposizione, Mohammed ElBaradei. L'ex Nobel per la Pace ha però aggiunto: «Ora, non dobbiamo avere fretta».
Ci sono voluti 18 giorni per far crollare un antico regime autocratico, sempre più distante dalla sua popolazione. In una singolare coincidenza, il rais esce di scena nel giorno del 32esimo anniversario della rivoluzione islamica iraniana. Ora, i destini dell'Egitto sono nelle mani dell'esercito. Il Consiglio supremo della Forze armate dovrebbe sciogliere il Parlamento, licenziare il governo e iniziare a governare la transizione assieme alla Corte Costituzionale. I carri armati bloccano ancora le entrate di midan Tahrir, oggi più che mai la piazza della «Liberazione». Molte persone si fanno fotografare accanto ai soldati. «Una mano sola, l'esercito e il popolo», è uno degli slogan più strillati nel caos della festa. La transizione ha il volto dei soldati: «Studieremo le misure da prendere», ha detto un portavoce leggendo un comunicato alla tv di Stato. Poche ore prima, l'esercito aveva fatto sapere che avrebbe garantito una transizione pacifica. Difficile capire cosa sia successo ai vertici del regime tra il discorso di giovedì di Mubarak, in cui il rais delegava i poteri a Suleiman ma rimaneva presidente, e le dimissioni di ieri. Ora, secondo le indiscrezioni della stampa, l'ex presidente è nella sua villa di Sharm el Sheikh. L'esercito si è trovato in una posizione difficile: diviso tra la sua lealtà al rais, un ex ufficiale, e la difesa del popolo che chiedeva il suo appoggio, spiega Khairi Abaza, un ex leader del partito liberale al Wafd. E i numeri delle proteste di ieri sono stati fatali: migliaia di persone si sono ritrovate non soltanto a piazza Tahrir.
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