Non poteva che finire in un massacro. A terra si contano almeno 18 morti tra ostaggi e terroristi portando così il bilancio provvisorio delle vittime a 55. È l’ultimo atto del folle assalto compiuto da un manipolo di jihadisti al sito gasiero di In Amenas, nel sud-est dell’Algeria. Nel frattempo, il presidente americano Barack Obama ha scaricato tutta la responsabilità della tragedia sui terroristi che hanno compiuto l’attacco: "Adesso rimarrà in stretto contatto con il governo algerino per comprendere pienamente quanto è successo e lavorare assieme per impedire che cose del genere si ripetano". Ma l’onda d’urto della crisi degli ostaggi è rapidamente arrivata fino a Washington. E ha investito la strategia americana anti al Qaida in Mali, tra voci di dissensi tra la Casa Bianca (più attendista) e il Pentagono che, invece, vorrebbe un coinvolgimento maggiore degli Stati Uniti al fianco della Francia.
Dopo giorni da incubo, ieri mattina le unità speciali algerine hanno rotto gli indugi e sono passate all'attacco. Anche perché le speranze di evitare una carneficina sono state bruciate dall’intransigenza dei terroristi che, guidati dal lontano Mali dal loro emiro Moctar Belmoctar grazie ad un telefono satellitare, avevano cercato di guadagnare altro tempo. Ma gli algerini di tempo non ne hanno concesso ed è stato un inferno di colpi ed esplosioni. Quando le unità speciali dell’esercito, dopo che i loro colpi non ricevevano più risposta, hanno fatto irruzione nella casupola adibita ad alloggio e che i terroristi avevano scelto come ultimo baluardo, hanno trovato solo morti. Undici terroristi - che non avevano fatto in tempo o voluto lasciarsi esplodere con le cinture imbottite di Semtex che indossavano - e sette ostaggi, a prima vista uccisi con colpi sparati a bruciapelo alla testa, un’esecuzione in piena regola in una battaglia che di regole non ne ha avute. L’ultimo drammatico ritrovamento ha, ancora una volta, rimescolato i numeri, che rispetto a quelli ufficiali sembrano non tornare, sia per i terroristi che per gli ostaggi. Per il ministero dell’Interno, che parla comunque di un bilancio non ancora definitivo, l’impresa suicida dei terroristi ha provocato la morte di 32 di loro e di 23 ostaggi.
Quale che sia il criterio dei conteggi, rimangono sempre delle preoccupanti zone d’ombra, con alcune compagnie che non trovano tutti i loro dipendenti (come la BP); Paesi (come il Giappone e la Gran Bretagna) che sanno che dovranno piangere delle vittime; notizie spaventose che circolano da ore pur se non confermate ufficialmente, come la scoperta di 15 cadaveri carbonizzati, jihadisti o ostaggi che possano essere. L’amministrazione Obama sa che per stabilizzare il Mali è necessario un intervento militare multinazionale, che però deve essere guidato da Paesi africani. Uno sforzo che sembra avere scarsa possibilità di successo senza l’Algeria, le cui forze armate sono le più preparate della regione, così come i servizi di intelligence di Algeri sono i più informati sulla galassia jihadista in Maghreb e Nord Africa. Tuttavia, anche per motivi storici, Algeri è riluttante a schierarsi militarmente accanto alla Francia, così come da sempre crea problemi a Washington anche solo per consentire agli aerei militari o ai droni americani di sorvolare il suo territorio. E ora, il sanguinoso raid compiuto senza alcun preavviso alle capitali direttamente interessate dalle teste di cuoio algerine nell’impianto di gas in In Amenas ha affossato le già scarse speranze di un diretto coinvolgimento militare dell’Algeria.
La pressione sulla Casa Bianca aumenta per• anche sul fronte interno. I militanti islamici in Mali. "Se lasciati fare - ha ammonito in un’intervista il generale Carter Ham, comandante dell’Africa Command Usa - raggiungeranno la capacità di perseguire i loro obiettivi, che sono espandere il loro raggio di azione e controllo e attaccare gli interessi americani". Al Pentagono diversi funzionari e militari di alto rango spiegano che senza un’iniziativa americana più incisiva il Mali rischia di diventare un santuario per il terrorismo jihadista, come lo era l’Afghanistan prima dell’attacco dell’11 settembre 2001, nel cuore dell’America.
E sulla scena sembra anche emergere una figura carismatica sul modello di Osama bin Laden: Moctar Belmoctar, chiamato dai suoi seguaci "il principe" e da chi gli dà la caccia "l’inafferrabile". È lui la "mente" del sequestro in Algeria, e anche di diverse altre azioni terroristiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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