Le attrici afgane perseguitate per “crimini morali”

Benafsha uccisa perché recitava. E perché viveva con le sue sorelle, senza parenti maschi

La democrazia si può esportare o imporre con la forza? In Afghanistan, dopo oltre dieci anni di guerra, le strade delle città sono piene di burqa. Le donne, è vero, insegnano e studiano all’università. Ma si tratta di una minoranza. Il novanta per cento di loro vanno al mercato solo se accompagnate da un parente maschio e non possono mostrarsi o dire il proprio nome a un uomo che non sia della famiglia. Non perché glielo imponga una legge scritta e neppure perché (almeno nella maggioranza dei casi) ci sia un talebano in agguato pronto a punirle. Ma semplicemente perché nel loro Paese è sempre stato così e perché parenti e conoscenti le tratterebbero come delle paria se si comportassero diversamente.

Il Guardian riporta la storia di tre sorelle orfane, che sono state aggredite in Afghanistan perché facevano le attrici. Una di loro è stata uccisa. E le due sopravvissute rischiano di finire in carcere per aver commesso “crimini morali”. Le giovani donne vivevano e lavoravano sole, senza la presenza di un parente maschio. Benafsha è stata colpita a morte con diverse coltellate, mentre le sorelle Areza e Tamana, anche loro attrici, sono riuscite a sopravvivere e a chiedere aiuto. Le autorità locali però, invece di perseguire i loro assalitori, potrebbero arrestarle. “La donna non è stata uccisa per il suo lavoro, ma perché si è rifiutata di avere rapporti con il gruppo” di uomini che poi l’ha aggredita, spiega il procuratore che sta indagando sul caso, Ghulam Dastegir Hedayat. Una richiesta, prosegue, che dipende dallo stile di vita non consono delle donne, provenienti dal Nord del Pakistan, che vivevano in tre in una casa senza una compagnia maschile.

“Credo che a ucciderla sia stato l’odio della gente di qui, ne sono sicuro”, ha invece dichiarato Yaqin Ali Khalili, titolare del locale frequentato dalle donne prima del delitto. La conferma arriva dalle minacce di morte subite da altre attrici del Paese. Come Sahar Parniyan, che dopo essere stata minacciata ha deciso di nascondersi. “Ricevevo minacce telefoniche a mezzanotte – ha detto la giovane al Guardian –, alle due del mattino, mentre stavo dormendo. Usavano parole molto brutte e mi ripetevano: ‘Sarai la prossima a essere uccisa’. Non posso continuare la mia carriera di attrice in Afghanistan, i talebani sono contro le donne, ma ci sono anche altri gruppi. L’Afghanistan non è fatto per le donne, siano o meno attrici”.

Tamana e Areza sono in attesa di punizione. Dopo l’ospedale sono state portate in carcere e sottoposte al test della verginità e potrebbero essere accusate di prostituzione. “Vogliamo chiarire se queste ragazze hanno avuto rapporti illeciti”, ha detto Hedayat, responsabile della zona occidentale di Kabul, dove è avvenuto l’omicidio. “Agli occhi della società siamo cattive ragazze”, spiega ancora Parniyan. Nasreen Amaninejad, che ha affittato la stanza dove vivevano le attrici colpite, ha confessato che è stato detto
lei che questo tipo di donne “infanga la città”. Aggiunge Heather Barr, ricercatrice afgana per Human Rights Watch: “Delle donne che vivono in una casa insieme senza un parente maschio sono un fatto molto inusuale e la polizia e i vicini ritenevano che si trattasse di un bordello”. Secondo la polizia e il procuratore, infatti, le donne non sarebbero state attaccate in quanto attrici, ma per il loro stile di vita e il loro vero lavoro.

Un anonimo alto funzionario di polizia indica la mancanza di istruzione delle giovani vittime come prova che si trattasse di prostitute: “Per mangiare devono trovare soldi. E da dove li prendono? Quando c’è una richiesta sessuale a una donna e questa rifiuta, questo genere di cose possono capitare”, conclude l’agente.

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