Il terzo e ultimo faccia a faccia tra Obama e Romney finisce in sostanziale parità. Si è parlato di politica estera, dalla Libia alla minaccia nucleare dell'Iran, dalla Siria alla Cina. Unica grande assente l'Europa. Non una sola parola i due sfidanti hanno speso sul Vecchio Continente e sul ruolo che, nel bene o nel male, esso può svolgere. Unica eccezione: Romney ha detto che non vuole che l'America faccia la fine della Grecia.
Non sono mancate polemiche sull'economia, con il repubblicano che ha rinfacciato a Obama di aver aggravato la crisi e, citando, forse involontariamente, lo slogan del programma tv The Apprentice di Donald Trump (in Italia nel ruolo del miliardario scopritore di giovani talenti c'è Flavio Briatore), ha detto: "Non sai far quadrare i conti? Sei fuori!". Per contro il presidente si è affidato a un grande classico del suo repertorio, muovendo l'accusa a Romney di essere un flip-flop, uno che ondeggia e cambia sempre idea su tutto.
Nei novanta minuti di serrato dibattito alla Lynn University di Boca Raton (Florida), è mancato l'affondo decisivo, il colpo del ko, per usare un parallelo - spesso abusato nei faccia a faccia tra i due candidati - con il mondo della boxe. Se il primo confronto, quello di Denver, era stato vinto da Romney, e il secondo, quello di Hampstead (New York) ha visto prevalere il presidente, in Florida - stato decisivo - potremmo dire che è finita in sostanziale parità, anche se i primi sondaggi sottolineano che ha vinto Obama (ai punti).
Obama parte subito all'attacco, Romney si mostra molto più calmo rispetto al secondo incontro, ma riesce comunque ad arginare l'irruenza del presidente, anche se il confronto si giocava in un campo per lui ostico, la politica estera. In più di un'occasione Romney si dice anche d'accordo con il presidente. Per almeno due-tre volte Romney prova a spostare la discussione sull'economia, terreno a lui più favorevole. Ma il tema della serata è la politica estera e le differenze, tra i due, vengono fuori: la minaccia di questi anni per Obama è "il terrorismo", per Romney è "un Iran nucleare". Acceso lo scontro sulle forze armate degli Stati Uniti. Per il repubblicano devono avere più soldi (mentre sono previsti tagli per tre trilioni di dollari. Romney si lamenta: "Abbiamo meno navi che negli anni Venti e molti meno aerei di un tempo". Obama replica stizzito: "Governatore, abbiamo anche meno baionette e meno cavalli, ma i tempi sono cambiati. Oggi non conta solo il numero di mezzi, ma come sono questi mezzi e cosa sono in grado di fare".
Romney si congratula con il presidente per aver eliminato Bin Laden, poi però aggiunge che "siamo ancora nei pasticci" perché il terrorismo non è stato sconfitto e "dobbiamo avere una strategia robusta e globale che aiuti il mondo islamico e altre zone del mondo a respingere l'estremismo violento e radicale". Obama risponde che la sua amministrazione sta avendo buoni risultati ed ha ampliato la collaborazione con diversi stati, nel mondo, proprio per fronteggiare il terrorismo.
Si arriva poi a parlare della Siria e dell'opportunità di fornire armi ai ribelli che si battono contro il regime di Assad. Tutti sono contrari a un intervento diretto degli Stati Uniti in guerra. Obama dice che per Assad "i giorni sono contati", ma "non possiamo, come dice il governatore Romney, dare armi pesanti ai ribelli". Per Romney, invece, è la strada giusta per aiutare chi vuol eliminare il tiranno.
Scintille, come prevedibile, su Israele. Romney più di una volta accusa il presidente di aver molto raffreddato i rapporti con il maggiore alleato degli Usa in Medio Oriente. Obama nega. Poi entrambi, su precisa domanda del moderatore, rispondono che in caso di attacco contro Israele gli Usa subito si metterebbero al suo fianco. Per replicare alla battuta con cui il repubblicano lo accusa di aver girato il mondo dimenticandosi, però, di andare a trovare l'alleato israeliano, Obama replica: "Ci sono andato. E non per andare a raccogliere fondi. Ho visitato il museo dell'Olocausto e alcune case che subiscono il lancio dei razzi".
Capitolo Iran. Obama ribadisce che con lui alla Casa Bianca Teheran non avrà mai l'arma nucleare, ma sottolinea anche che, a differenza di quello che pensa Romney, non sul fatto di dover "attaccare per primi". Anche il repubblicano, però, sottolinea che "l'attacco militare è l'ultimo estremo passo". Poi bacchetta Obama: "Questa amministrazione non è stata forte come avrebbe dovuto" e ora "siamo quattro anni più vicini ad un Iran nucleare". E il leitmotiv della serata, con Romney che in ogni occasione rimprovera a Obama di essere stato troppo debole e di non aver assicurato la leadership degli Stati Uniti nel mondo.
L'Unione europea è completamente assente dal dibattito. Neanche un accenno di striscio al Vecchio Continente. Si parla, invece, dei rapporti con la Russia. Obama rinfaccia a Romney di aver definito la Russia "la più seria minaccia geopolitica" per gli Usa. Poi, con una battuta a effetto, gli dice: "Ci vuol riportare alla Guerra fredda e agli anni Ottanta in politica estera, agli anni Cinquanta nelle politiche sociali e agli anni Venti nell'economia". Romney replica dicendo che la Russia è un "avversario" geopolitico, con diversi interessi i contrasto con gli Usa. E assicura che a Putin di certo non dirà "ti darò più flessibilità dopo le elezioni (il riferimento è a un famoso fuorionda del marzo scorso tra Obama e Medvedev, ndr). Dopo le elezioni avrà più schiena dritta".
Altra protagonista della serata è la Cina. Romney ribadisce di volerla dichiarare "paese manipolatore di valuta (per le ricorrenti svalutazioni della moneta volte a favorire le esportazioni, ndr)". Poi affonda il dito nella piaga: "Rubano le nostre proprietà intellettuali, entrano nei nostri computer...". Dopo queste accuse durissime riconosce che gli Stati Uniti possono, comunque, essere partner dei cinesi: "Possiamo collaborare con loro, se intendono essere più responsabili". Quando il moderatore gli chiede se inizierà una guerra commerciale con Pechino, Romney risponde: "Dobbiamo dire alla Cina che capiamo la loro aggressività e vogliamo mantenere grandi relazioni con loro, ma non si possono violare le regole".
Obama, dopo aver maliziosamente rinfacciato al suo sfidante di aver finanziato aziende che investono in Cina, sottolinea che "Pechino è sia un avversario, sia un potenziale partner nella comunità internazionale, se segue le regole".
Il duello su Detroit
Il dibattito si è infiammato, a un certo punto, quando si è toccato il tema spinoso del salvataggio di Detroit, patria di General Motors, Ford e Chrysler. Romney nega di aver voluto il fallimento dell'industria dell'auto. Obama replica duro: "Non è vero. Lei non diceva questo, gli elettori possono controllare carta alla mano quanto è stato detto all'epoca. Lei non voleva che si spendessero risorse per salvare posti di lavoro. Questa è la verità". Romney, a quel punto, sfodera un sorriso a 32 denti e risponde: "Sono nato a Detroit e adoro le nostre auto. Ero contrario già agli aiuti dati da Bush al settore auto. La mia idea era che bisognasse passare attraverso la bancarotta per tagliare i costi in eccesso e rendere più competitive le aziende". Poi prosegue: "Il mio impegno è a favore delle nosre industrie, voglio investire nella ricerca ma non nelle singole società. Non è questa la strada giusta".
Gli appelli finali
"In quattro anni siami usciti da quelle politiche che ci hanno portato a due guerre, a un debito elevatissimo e a una gravissima crisi economica. Il governatore Romney vuole riportarci indietro, a quelle politiche. Ora la scelta è vostra", ha detto Obama rivolgendosi agli americani.
"Obama ci porta sulla strada del declino, della Grecia - ha detto Romney -. Io sono pronto a riprendere in mano la torcia della libertà, della speranza. Sono pronto a guidare il Pease e farlo tornare prospero".
Cosa dicono i sondaggi
Appena terminato il dibattito sono usciti i primi sondaggi. Per un istant poll della Cbs ha vinto Obama 53% a 23%. Per il 24%, invece, il duello è finito pari. Secondo la Cnn il presidente ha raccolto il 48% delle preferenze tra gli elettori che hanno seguito il duello tv contro il 40% del repubblicano. La parola ora passa agli elettori, specie a quelli ancora indecisi. Avranno tempo, per decidere, fino al 6 Novembre. Poi stop. Si conteranno le schede e si assegneranno i "grandi elettori", stato per stato. Chi raggiungerà quota 270 andrà alla Casa Bianca e guiderà gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni. Una sola cosa è certa: la sfida è aperta fino all'ultimo. Si giocherà contea per contea, quartiere per quartiere, casa per casa.
E a fare la differenza non saranno solo gli spot in tv, le e-mail, i social network o le impressioni ricavate dai dibattiti in tv. Conteranno anche le suole delle scarpe. Chi le avrà consumate di più negli stati chiave si aggiudicherà la vittoria.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.