Il "gigante" dei Clinton alla conquista di New York

Bill de Blasio è già dato come il prossimo sindaco. È un ex manager della campagna di Hillary. E lei ha raccolto per lui un milione di dollari

Il "gigante" dei Clinton alla conquista di New York

È un gigante anche su queste elezioni, lui che di solito sovrasta la folla (per non parlare della moglie Chirlane) con i suoi quasi due metri d'altezza: perché è una voragine che secondo i sondaggi divide Bill de Blasio, ormai considerato il prossimo sindaco di New York, e il suo sfidante, il repubblicano Joe Lhota, nelle elezioni del 5 novembre. Allora Bloomberg se ne andrà dopo dodici anni, con circa la metà dei newyorchesi che pensa abbia fatto un buon lavoro ma, allo stesso tempo, nella stragrande maggioranza è pronta a votare per l'uomo che si è proposto come la sua antitesi, il paladino del 99 per cento, il «progressista vero». Per l'87 per cento degli abitanti la gara è già chiusa.

Il democratico, che più che liberal ha portato avanti un programma di sinistra spinta (più tasse ai ricchi, asili nido per tutti, edilizia calmierata, investimenti per l'educazione, meno rigidità nella politica anticrimine, guerra a chi lucra sugli affitti - anche se lui stesso è un piccolo landlord, visto che dato in affitto una casa bifamiliare a Park Slope, da cui ricava quasi 50mila dollari l'anno) ha spaventato e infastidito Wall Street, ma non è bastato: ha convinto perfino un repubblicano su cinque, elettori delusi dal partito e dallo shutdown (che avrebbe influenzato il 47 per cento dei votanti) e sospettosi delle simpatie da Tea Party di Lhota (un'immagine gli è stata astutamente appiccicata da de Blasio). Soprattutto, de Blasio ha con sé la forza dei Clinton: c'è stato l'endorsement del presidente Obama alle sue «idee forti e coraggiose», ma quello che conta davvero è l'appoggio di Bill e Hillary. La scorsa settimana Hillary ha contribuito a un fundraising per raccogliere oltre un milione; e poi ha ricordato i tempi in cui nominò Bill manager della sua campagna per l'elezione al Senato, nel 2000. Hillary ha detto che dare quell'incarico a de Blasio è stata «una delle scelte più intelligenti che abbia fatto», e lui giù a ringraziare, a esprimere ammirazione, gratitudine, adorazione per quel «modello» che è la signora Clinton, un esempio e una via da seguire per lui e - ovvio - per la moglie Chirlane (nata McCray, afroamericana del Massachusetts, studentessa di Wellesley come Hillary Rodham, femminista, poetessa, autodichiarantesi lesbica, poi ex una volta conosciuto il «suo» Bill, un altro Bill, come l'ex presidente Clinton, del resto).

L'hanno accusato - Lhota, ma pure Bloomberg - di sfruttare la sua «famiglia meravigliosa» per la campagna: la moglie di colore, lui italoamericano cresciuto dai nonni e dalla madre di cui ha preso il cognome (il padre, veterano di guerra, si uccise dopo anni di problemi psichici), i due figli Chiara e Dante, quest'ultimo protagonista di uno spot elettorale dal successo clamoroso grazie ai suoi capelli afro, così afro che pure Obama si è detto invidioso. Insomma il gioco è reciproco: da un lato, la mano lunghissima dei Clinton che, in attesa delle presidenziali del 2016, estendono il loro dominio sulla Grande Mela con un uomo del clan; dall'altro, il potere magico di Hillary e Bill che sembrano trasformare in oro tutto ciò che toccano, così da riportare un democratico a City Hall (non succede dall'89), con un margine di vantaggio mai visto prima per un outsider e che potrebbe competere solo col mitico 68 per cento di scarto ottenuto da Koch nel 1985 (ma era al terzo mandato).

Pare che i newyorchesi siano disposti a perdonargli tutto: il «populismo urbano», come l'ha definito Thomas Edsall sul New York Times, il pauperismo, il pugno non di ferro sulla criminalità, perfino il tifo da ragazzo nato e cresciuto a Cambridge, con la tripletta del cuore Red Sox, Boston Celtics, New England Patriots. Ma lui, il candidato di Brooklyn, ha promesso che la sua New York non sarà più solo Manhattan: e questo, per ora, sembra bastare.

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