I nostri ragazzi in divisa devono rientrare a testa alta

Contro le scappatoie è più opportuno alzare la voce con l'India per ottenere rispetto

I nostri ragazzi in divisa devono rientrare a testa alta

Certo, la tentazione di rendere pan per focaccia è forte. Ti sale dal cuore, si potrebbe dire. Tante ce ne hanno fatte gli indiani, tanti di quei rospi ci hanno fatto ingoiare che l'idea di fargliela in barba sgattaiolando i due marò è quasi irresistibile. Però, meglio di no. Facendogliela in barba glie la daremo vinta e ciò significherebbe che dopo tutto il diplomatico calamento di braghe che ha caratterizzato questa sporca storia finiremmo per calarci anche altro. Troppa grazia. Abbiamo già dato. No, no, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre devono lasciare Kerala non da magliari, ma a testa alta, in divisa e non in costume da bagno. Sono detenuti o comunque internati illegalmente, a dispetto di decine di articoli di convenzioni, codici e trattati internazionali. In quanto alle colpe loro addebitate e fermo restando il principio penale della presunzione di innocenza, poiché portano le stellette - senza aggiungere che al momento del fatto erano in acque internazionali - devono essere giudicati da un tribunale della Repubblica italiana. Non dalla session court di Kerala. Verso la quale nutriamo stima e considerazione, ci mancherebbe: però non è competente. Non ci azzecca niente. Capiamo che per la Farnesina l'evasione dei marò sarebbe una manna: caso chiuso e una su per giù missione compiuta. Ma non ci sono scappatoie: è il ministero degli Esteri di un governo che si dice abbia un larghissimo credito internazionale e che dunque può contare sull'appoggio del consesso democratico a dover sbrogliare la matassa. Matassa che deliberatamente o per diplomatica discrezione, non s'è mai capito, è stata da subito ingarbugliata. Quindi, tirar fuori, se non altro, la voce e farla grossa pretendendo dagli indiani il rispetto del diritto internazionale. A tal proposito bisogna prender amaramente atto che fino a oggi la voce è risultata in falsetto, in uso nelle cancellerie che nei rapporti diplomatici privilegiano il tatto, la finezza, la prudenza evitando il più possibile lo scontro, così poco elegante, così poco di classe. Ma ci sono casi - e quello dei marò è uno di quelli - in cui dai salamelecchi è doveroso passare a quella che una volta e non sempre metaforicamente era detta la politica delle cannoniere. Senza arrivare a tanto, visto che finora il guanto di velluto è servito a niente, non c'è che da sfilarselo.

E che so, minacciare, se è il caso, di trascinare la controparte che si ostina a «far l'indiano» davanti all'Alta Corte di Giustizia. Muoversi, insomma, darsi una mossa. Ne va della immagine, cioè della faccia, dell'Italia.

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