La Norvegia sceglie la Dama di Ferro

Dopo otto anni di governo laburista il Paese più ricco d'Europa si affida alla "dura" Erna Solberg

La Norvegia sceglie la Dama di Ferro

Distante non solo geograficamente dai problemi che assillano noi europei dell'Unione dei Ventotto, la Norvegia che ieri è andata alle urne e si è affidata in modo quasi plebiscitario al centrodestra pare voler sfidare le previsioni apparentemente razionali e i luoghi comuni. Priva di debito pubblico grazie ai ricchi giacimenti di petrolio del Mare del Nord, con un'economia in espansione, i consumi in crescita e il tasso di disoccupazione appena sopra il 3 per cento (l'Italia, tanto per fare un paragone, è al 12), avrebbe secondo una logica elementare dovuto fare un monumento al suo premier e confermarlo per altri quattro anni. Se poi si aggiunge che questo premier è espressione del partito socialdemocratico e che queste sono le prime elezioni dopo lo choc della strage di giovani militanti di quel partito compiuta due anni fa da un estremista di destra, un osservatore superficiale si aspetterebbe un sostegno anche emotivo dell'elettorato per una parte politica che ha ben operato e che è stata così brutalmente colpita.

Invece no: ieri sera la leader conservatrice Erna Solberg, una dinamica signora di 52 anni dall'inequivocabile soprannome di Dama di Ferro, è apparsa trionfante davanti a una folla di sostenitori per annunciare la sua vittoria. Sarà la seconda premier donna nella storia del suo Paese dopo la laburista Gro Bruntlandt negli anni Ottanta. Ma soprattutto governerà con una coalizione che comprende, oltre a due partitini minori del centro liberale, il Partito del Progresso, formazione guidata anch'essa da una combattiva vichinga, Siv Jensen, e che di progressista in senso sinistrorso non ha proprio nulla. In quanto propugna norme severe per contenere l'immigrazione e un drastico abbassamento delle tasse per ridurre gli sprechi di uno Stato sociale che offre generose prestazioni anche alle centinaia di migliaia di stranieri, in buona parte musulmani mediorientali, che negli ultimi quindici anni hanno scelto la Norvegia come loro residenza.

Il massiccio arrivo di iracheni, curdi, siriani, egiziani e turchi ha cambiato in modo visibile e impressionante la capitale Oslo e le altre (poche) città norvegesi medio-grandi. Ma soprattutto ha appesantito i conti di uno Stato abituato a spendere e incoraggiato a farlo dai lauti proventi del petrolio del mare del Nord. Immigrazione di massa e gestione della ricchezza petrolifera sono stati i cavalli di battaglia delle due donne da combattimento della destra norvegese: alla prima intendono porre un deciso freno, mentre della seconda vogliono fare un uso più oculato e lungimirante.

Tornando alle considerazioni iniziali, naturalmente l'opinione pubblica norvegese non è impazzita se ha deciso di premiare la destra e relegare all'opposizione il premier che ha gestito otto anni di benessere. Molti hanno avuto la percezione che Jens Stoltenberg, non alieno da gesti populisti come quello di due mesi fa quando si mascherò da tassista «per ascoltare dal vivo la voce dei cittadini di Oslo», abbia in realtà sovradimensionato lo Stato senza migliorarne le prestazioni, alimentando le preoccupazioni per un dopo-petrolio che non sarà lontanissimo: e questo nonostante il governo abbia saggiamente creato un poderoso fondo sovrano da 750 miliardi di euro per le esigenze del welfare di un Paese che ha solo 5 milioni di abitanti. Il fatto che quasi la metà delle imprese norvegesi estranee al petrolio siano finite in stagnazione secondo i dati più recenti giustifica peraltro le preoccupazioni.

Il paradosso più forte nella svolta voluta ieri dagli elettori norvegesi è che non solo lo choc provocato due anni fa dalla strage di 77 giovani laburisti nell'isola di Utöya non ha portato alcun sostegno emotivo al premier uscente Stoltenberg, ma con ogni probabilità la Dama di Ferro Solberg governerà con l'appoggio decisivo di quel partito del Progresso di cui lo stragista Anders Breivik era

stato membro, prima di abbandonarlo perché lo giudicava troppo incline ai compromessi. In realtà il partito ora guidato dalla tosta signora Jensen chiede solo, nella piena legalità, di destinare ai norvegesi le loro risorse

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