Paula, l'amante gelosa che minacciava le altre Lo scandalo si allarga

Lavora al Dipartimento di Stato la "seconda donna" del caso Petraeus perseguitata dalla Broadwell. Rudy Giuliani: "Un altro Watergate"

Han perso in un colpo solo il generale simbolo dell'era di George W. Bush e un candidato capace di guidarli alla vittoria nella prossima corsa alla Casa Bianca. Ora, però, i repubblicani sentono puzza di bruciato e fanno capire di non starci più. Anche perché la liquidazione di David Petraeus a meno di una settimana della sua audizione al Senato sul disastro di Bengasi, costato la vita all'ambasciatore in Libia e a tre funzionari americani, appare sempre più sospetta. Obama tace mentre emergono nuovi elementi che fanno addirittura parlare un alto esponente repubblicano come Rudolph Giuliani di «un nuovo Watergate».

Ieri è emerso da indagini giornalistiche che la seconda misteriosa donna che Paula Broadwell avrebbe minacciato via mail è ufficiale dicollegamento del Dipartimento di Stato presso il comando centrale di Tampa in Florida, di cui Petraeus era responsabile quando si occupava di Afghanistan, ha 37 anni e si chiama Jill Kelley: una figura che la Broadwell avrebbe percepito come una rivale pericolosa, non è ancora chiaro se anche a livello sentimentale. La natura del suo rapporto con Petraeus non è nota, ma appare sempre più evidente che le due donne erano in competizione per l'affetto del numero uno della Cia.
Questo mentre in ambito politico ribollono i misteri di un'operazione, conclusasi con il disastro di Bengasi, decisa per convincere le milizie islamiste a non ostacolare la nomina di un premier libico gradito a Washington. Un'operazione che non poteva venir avviata senza il consenso del presidente e dei più alti vertici dell'amministrazione democratica. Ora invece gli inconfessabili segreti di quell'operazione rischiano di venir sepolti assieme al capo della Cia. A rendere l'affare ancor più sospetto contribuiscono le notizie secondo cui la decisione di Petraeus di mollare tutto è stata caldamente «incoraggiata» da James Clapper, l'ex ammiraglio scelto da Obama per guidare l'intelligence nazionale. Il comportamento di Clapper, che ammette di aver caldeggiato le dimissioni di Petraeus durante un colloquio a quattr'occhi, appare alquanto anomalo. Il capo supremo degli 007 americani, messo al corrente dell'indagine dell'Fbi sulle mail di Petraeus la sera del voto presidenziale, non informa, secondo la versione ufficiale, né il presidente, né le commissioni del Congresso incaricate di vigilare sulla sicurezza e sull'intelligence. Fissa, senza consultarsi con nessuno, un appuntamento con il direttore della Cia, lo mette con le spalle al muro comunicandogli i particolari più indecorosi dell'inchiesta e lo convince ad abbandonare.

In verità quelle dimissioni non sarebbero ineluttabili perché - vergogna e imbarazzo a parte - Petraeus non ha, per quanto si sa, compromesso la sicurezza nazionale. Per di più il direttore della Cia era informato dell'indagine aperta dall'Fbi già da molte settimane, ma si era ben guardato dal lasciare il suo posto. Comunque sia la mossa più grave di Clapper è la mancata comunicazione al Congresso. «Non abbiamo ricevuto alcuna notizia… è stato un fulmine a ciel sereno» ammette persino la democratica Dianne Feinstein responsabile della commissione del Senato per l'intelligence. Sostenendo di non aver avvertito né il presidente né il Congresso, Clapper si assume insomma la responsabilità di una «liquidazione» capace di bloccare qualsiasi dichiarazione di Petraeus sul caso Bengasi e assolvere definitivamente l'amministrazione Obama. Nell'anodino ma perfetto sistema creato da Clapper l'opposizione repubblicana non poteva protestare perché non sapeva.

E, per lo stesso motivo, il presidente non potrebbe venir accusato d'aver incoraggiato le dimissioni del capo della Cia. Il velo di silenzio in cui Clapper ha avvolto ogni decisione sulle dimissioni del direttore della Cia è però svanito. E molti al Congresso incominciano a sentir puzza di marcio.

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