Non era mai successo nella storia dei rapporti internazionali: un Paese che compera una pagina sui principali quotidiani di un altro per intimargli la cessione di un suo territorio. Eppure, questa è l'ultima trovata di Cristina Fernandez de Kirchner, presidente dell'Argentina, per rilanciare le sue rivendicazioni su quelle isole Falkland (o Malvinas, nella sua versione), che nel 1982 un suo predecessore, il generale Galtieri, tentò invano di conquistare con la forza delle armi. «La invito - ha scritto la signora nella lettera aperta indirizzata al premier britannico Cameron - a porre fine al colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni, come previsto da una risoluzione dell'Onu del 1960».
Inutile dire che Londra ha respinto la richiesta a giro di posta, ribadendo che le Falkland non sono mai appartenute all'Argentina e che comunque i suoi 3.000 abitanti, tutti di origine britannica, hanno più volte espresso la volontà di restare sotto lo Union Jack. Per difendere i loro diritti, 31 anni fa Margaret Thatcher spedì nell'Atlantico meridionale una poderosa forza aeronavale che in undici settimane di guerra cacciò dall'arcipelago gli invasori, infliggendo loro una disastrosa sconfitta. «La posta in gioco era alta - scrisse poi la Lady di ferro nelle sue memorie -. Quello per cui noi combattevamo a ottomila miglia dalla patria, non era solo il territorio e il popolo delle Falkland; difendevamo il nostro onore di nazione e il principio, fondamentale per il mondo intero, che gli aggressori non devono mai prevalere».
Con questi precedenti, è improbabile che la Kirchner conti davvero che una lettera aperta basti a riaprire la vertenza. La vera ragione della sua bizzarra iniziativa è che, dopo essere stata trionfalmente rieletta appena un anno e mezzo fa, è in vertiginosa caduta di popolarità e ha un disperato bisogno di distrarre l'opinione pubblica interna dai problemi economici che stanno di nuovo mandando a fondo il Paese. Dopo otto anni di forte crescita, alimentata dagli alti prezzi dei suoi prodotti agricoli sui mercati mondiali, l'Argentina - a causa soprattutto della sua politica dirigista imposta da un gruppo di giovani economisti marxisti - sta tornando ad essere la grande malata dell'America Latina. Ormai da mesi, si susseguono scioperi e dimostrazioni di protesta (chiamate cacerolazos, perché i manifestanti per farsi sentire percuotono ritmicamente pentole e altri utensili da cucina), e il 21 dicembre si sono verificati i primi assalti ai supermercati da parte di folle inferocite per una inflazione del 25%, che sta erodendo il loro potere di acquisto.
Ma la perdita di valore del peso non è la sola ragione di malcontento: la corruzione ha raggiunto livelli intollerabili, nel solo 2012 il 31% degli abitanti è stato vittima di qualche reato, il funzionamento dei servizi pubblici peggiora di giorno in giorno. Per finanziarsi, il governo attinge arbitrariamente ai fondi delle casse previdenziali e l'estate scorsa ha nazionalizzato, senza indennizzo, la compagnia petrolifera spagnola Repsol, con il risultato di fare fuggire gli investitori stranieri. Intanto, stanno venendo al pettine anche vecchi nodi, legati al default di 81 miliardi di dollari che dieci anni fa colpì anche tanti risparmiatori italiani. Un fondo americano che ha rifiutato il concordato con cui Buenos Aires ha cercato di chiudere il contenzioso pagando il 35% del suo debito ha ottenuto una sentenza che lo autorizza a chiedere la confisca di beni argentini all'estero per un valore di 1,6 miliardi e due mesi fa è riuscito a far bloccare la nave scuola argentina «Libertad» in un porto del Ghana.
La reazione della presidenta è di ricorrere a metodi sempre più autoritari. Chi mette in dubbio le false statistiche sull'inflazione diffuse dal governo viene pesantemente multato. I critici del governo sono perseguitati dal fisco. Perfino una parte del movimento peronista che ha portato Cristina al potere le sta voltando le spalle.
«La storia di ripete in maniera inesorabile - ha commentato il New York Times -. Ogni dieci anni circa questo Paese, che sembra benedetto da Dio per le sue risorse, si avvita in una crisi; e quella che si sta preparando non avrà nulla da invidiare alle altre».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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