Sulla carta era uno di quegli accordi bilaterali che contrappuntano la cosiddetta «distensione» fra le due superpotenze. Nei fatti era un patto di sola andata, da est a ovest. Anzi, da Est a Ovest. Da un Paese ancora profondamente sgangherato, in corsa verso un capitalismo in divenire di stile western, la Russia, a un Paese capitalista divenuto da un pezzo, gli Usa. L'accordo regolava il flusso di bambini russi, orfani in genere di padri e madri alcolizzati, spiaggiati ai margini di province lontane anni luce dalle vetrine rutilanti della Mosca glamour del Cremlino e del Kutuzovsky Prospekt, adottati da coppie americane che avevano un debole per quei fantolini con gli occhi azzurri e i capelli biondi, praticamente identici a «mamma» e a «papà». Viaggi da est a ovest, si diceva. Perché non si è mai sentito, che si sappia, di orfani americani diretti a Vladivostok, a Novosibirsk o a Rostov sul Don. Bene, da ieri, con un niet dettato da Vladimir Putin in persona, l'accordo è decaduto, e anche i cinquantadue bambini che avevano già pronto il valigino, con le loro carte in regola, i visti e tutto, e già sognavano il viaggio a Disneyland, resteranno a casa.
È l'ultimo episodio di una Guerra fredda che aspetta solo un pretesto, da quando è ufficialmente finita, per tornare a far capolino tra due capitali che non hanno mai smesso, appena possono, di darsi qualche gomitatina nel costato. Un gesto squisitamente politico, dunque, una ritorsione firmata Putin contro un'America ancora una volta accusata di ficcare il naso in questioni di politica interna russa, e se poi di «malapolitica» si tratta, come fra poco diremo, peggio ancora. Perché in questi casi l'irritazione del Politburo si fa più cocente, e l'indispettita risposta più sferzante, perché figuratevi se a Mosca sono disposti a prender lezioni, in tema di diritti umani, soprattutto se sono apertamente violati. In due parole, la storia è questa. In tempi recenti il presidente americano Barack Obama ha messo la propria firma in calce a un provvedimento che vieta l'ingresso o la permanenza sul suolo americano di un gruppo di funzionari russi coinvolti nel «caso Magnitsky», un avvocato trentasettenne morto in carcere nel 2009. Arrestato per evasione fiscale dopo aver denunciato una truffa da 230 milioni di dollari orchestrata da dirigenti del ministero dell'Interno, l'avvocato Sergei Magnitsky era stato torturato in carcere dove infine morì per una pancreatite non curata. Colpevoli? Nessuno.
Ci voleva una legge «anti Magnitsky», ed eccola qua, maldestramente pensata ma pronta per l'uso. L'hanno chiamata legge «Dima Yakovlev», ed è già passata in tromba sia alla Camera che al Senato. Legge che prende il nome da uno sfortunato bambino russo, adottato da uno scervellato cittadino americano che un giorno d'estate del 2008 (succede anche da quelle parti) se lo dimenticò in auto andando a far spese. Il bambino morì, ma il padre, disperato, venne assolto dall'accusa di omicidio colposo.
Ma come, si dirà: ci son voluti 4 anni prima di
scandalizzarsi, a Mosca? La risposta è sì. Ma poiché le verità sono sempre molteplici, di là dall'ex Cortina di ferro, potranno pur sempre dire che ci hanno pensato a lungo, molto a lungo, prima di prendere l'odierna decisione ...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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