Il ricovero in ospedale di uno studente dell’università del Tennesse con una gravissima intossicazione alcolica, ha confermato la voci di una nuova moda che si sta diffondendo tra i ragazzi americani: l’assunzione di bevande attraverso un banale clistere. A parte la credenza, per altro errata, che non determini il classico «alito vinoso» con cui farsi scoprire, la pratica renderebbe assai più forte l’effetto anche con dosi minime di liquore.
La scandalo è scoppiato qualche giorno fa presso la University of Tennessee e sta provocando molto scalpore nell’intero Paese per le gravi conseguenze che potrebbe portare. L’ateneo, chiamato anche Tennessee-Knoxville, fu fondato appunto a Knoxville, terza città dello stato, nel 1794 e conta attualmente circa 28.000 studenti provenienti da più di cento nazioni. Quasi tutti, come è tradizione nelle università americani, appartengono a qualche «confraternita», come la Pi Kappa Alpha a cui erano iscritti i 12 ragazzi trovati completamente ubriachi sabato scorso dopo una festa. Uno di loro, uno studente di 20 anni, era in condizioni talmente preoccupanti da determinare un immediato ricovero ospedaliero. I livelli del sangue erano infatti cinque volte superiori al massimo consentito per guidare. La direzione dell’università ha subito sospeso le attività della Pi Kappa Alpha, chiuso la sede della confraternità dove era stata organizzata la festa e deciso di rivedere i propri programmi educativi in materia di consumo di alcol.
Quello che però ha destato maggiore preoccupazione è stata la scoperta che i ragazzi non ha bevuto, bensì assunto le bevande per via rettale, cioè con un clistere. Una pratica che provocherebbe un effetto immediato e soprattutto molto intenso anche con basse dosi di liquore perché, arrivando direttamente all’intestino, passerebbe poi più rapidamente e intensamente al sangue. Il ragazzo ha negato tutto ma le «prove» trovate nella sede della confraternita sarebbero inopugnabili. Anche perché non è la prima volta che si ipotizza l’assunzione di sostanze alcoliche in maniera «alternativa». Tempo fa sempre negli Stati Uniti si è parlato a lungo di un gruppo di ragazzini e ragazzine che usavano infilarsi tamponi imbevuti di vodka.
In ogni caso non si tratta certo di una novità assoluta, bensì un sistema conosciuto fin dai tempi più antichi in particolare nell’America Latina. Gli studiosi infatti hanno scoperto numerosi indizi archeologici ed etnografici sull’usanza, per altro ancora comune presso diverse tribù indigene, di introdurre medicine o sostanze inebrianti per via rettale, utilizzando siringhe in ceramica, osso o altro materiale. Nei riti di iniziazione dei Mura del Brasile, dopo aver inflitto una pesante flagellazione, ai neofiti viene somministrato un clistere di paricá o anadenanthera, piante allucinogene molto diffuse in Sudamerica. Gli indios usavano la paricá soprattutto durante le feste e in quelle occasioni un buon ospite avrebbe distribuito «cannucce» ai suoi invitati. Cannucce che molti indios erano soliti portare sempre con se nel caso vogliano assumere la sostanza. E sempre in Brasile i cacciatori catawishi erano soliti usare clisteri di paricá prima delle battute di caccia, per acuire la visione e lo stato di allerta, somministrandola persino ai loro cani. Come dire: nulla di nuovo sotto il sole.
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