Con l'arrivo di
Barack Obama sulla tribuna d'onore, inizia la cerimonia di investitura al
National Mall di Washington. Accolto da un'ovazione, il presidente raggiunge la moglie Michelle e le figlie Malia e Sasha. Quindi prende posto, come da cerimoniale, al centro della scena, seduto accanto a
Joe Biden. Il primo a prestare giuramento è proprio il vicepresidente. Lo fa ripetendo la formula letta dal giudice della Corte Suprema
Sonia Sotomayor. Dopo è la volta di Obama giurare sula costituzione. Recita la formula letta da
John Roberts, presidente del massimo organo giurisdizionale degli Stati Uniti. Circa ottocentomila persone seguono l'evento. Obama giura su due Bibbie:
quella di Lincoln e quella di Martin Luther King.
"Ciò che unisce la nostra nazione - esordisce Obama nel suo discorso - non è il colore della nostra pelle o l'origine dei nostri nomi, ma che tutti gli uomini sono creati uguali ed hanno diritti inalienabili: vita, libertà e il diritto alla ricerca della felicità... La storia ci dice che la libertà ci viene da Dio, ma che tocca agli uomini sulla terra difenderla e metterla al sicuro". Obama divide il suo discorso in paragrafi, ognuno del quale inizia con "We, the People" (Noi, il popolo..."), citando così
le prime parole della Costituzione degli Stati Uniti.
Il presidente ricorda che i patrioti del 1776 non "combatterono per rimpiazzare la tirannia di un re, o i priilegi di pochi senza regole. Ci consegnarono una repubblica, un governo, del popolo, che viene dal popolo e agisce per il popolo". Questa frase riprende un celebre passaggio del Gettysburg Address, uno dei discorsi più conosciuti del presidente Abramo Lincoln che abolì la schiavitù pronunciato il 19 novembre del 1863, mentre infuriava la guerra civile.
Gli Stati Uniti "hanno obblighi verso il resto del mondo e "sosterranno sempre la democrazia, dall'Asia, all'Africa, dalle Americhe al Medio Oriente. Sosterranno i diritti delle persone più umili, la libertà. Oggi - prosegue il presidente - è finito un decennio di guerre e ne è cominciato uno di sviluppo economico: l'America ha opportunità senza limiti, tutte quelle che vengono richieste da questo mondo ormai senza confini".
"Non possiamo fare errori di principio, non possiamo fare dibattiti senza fine. Dobbiamo agire e andare avanti sul percorso di una reale ricerca della felicità. Anche se sappiamo che le nostre decisioni sono spesso imperfette.
Tutti assieme sappiamo che il
libero mercato può produrre prosperità solo se ci sono regole che assicurano concorrenza e correttezza tra tutti".
Un passaggio del discorso di Obama è dedicato ai gay: "Il nostro viaggio non sarà completo fino a quando i gay non saranno trattati come tutti gli altri".
Le nuove sfide della Casa Bianca
Rispetto a quattro anni fa Obama è molto cambiato. L'esperienza gli ha fatto capire che un conto sono i proclami e le buone intenzioni, altra cosa è la politica. Il presidente non dimentica i valori e le sfide di ampio respiro, ma sa bene che, su tasse ed economia, è necessario il compromesso coi repubblicani, che hanno la maggioranza alla Camera. E su altri temi spinosi, come il controllo delle armi, un certo Bill Clinton, che non è proprio l'ultimo arrivato, invita la Casa Bianca alla prudenza: bisogna evitare, dice l'ex presidente, di dare l'impressione di parlare dall'alto in basso. Lo scontro frontale con la potente lobby delle armi potrebbe essere molto pericolosa per Obama, ringalluzzendo i repubblicani e prestando il fianco a un'una controffensiva pericolosa. E' anche vero che Obama non ha il problema della rielezione e che quindi è più libero di agire e di tentare, quindi, di lasciare la propria impronta.
L'uomo che voleca cambiare Washington, sottolinea il New York Times, oggi è molto più disincantato. Secondo i sondaggi dalla sua parte c'è il 51% degli americani. Quattro anni fa il suo consenso era al 68%. Il sogno di una politica americana perfettamente bipartisan non esiste più. O meglio, se ne può ancora parlare, ma non ci crede (quasi) più nessuno. A livello di slogan lo staff di Obama per l'inaugurazione ha scelto questo: Our People, Our Future (la nostra gente, il nostro futuro). C'è ancora spazio, dunque, per la retorica e per il sogno. Ma la realtà - e questo anche Obama lo sa bene - è molto più difficile della propaganda.
Il 2013, assicura Obama, sarà l'anno dell'immigrazione. Della riforma su questo delicato tema che non è più (solo) elettorale. Poi c'è da affrontare - vedremo con quale compromesso - il tema delle armi. Ma è soprattutto sulla ripresa dell'economia che, alla fine, gli americani giudicheranno i due mandati del presidente.