Smottamenti a destra, ma anche battaglia al centro. Le elezioni Europee del 6-9 giugno stanno agitando la politica Ue e rischiano di ridisegnare la geografia delle grandi famiglie politiche d’Europa. Certo, è altamente improbabile che il voto one shot per il prossimo presidente della Commissione Ue possa prescindere dai socialisti di S&D e dai liberali di Renew, ma è indubbio che il futuro Parlamento Ue penderà a destra come mai era successo.
Non un dettaglio, che negli ultimi giorni ha acceso i riflettori soprattutto sull’eurodestra. Divisa in due famiglie: i conservatori di Ecr e i sovranisti di Identità e democrazia. Con i secondi che su iniziativa di Marine Le Pen ieri sono finalmente arrivati a espellere dal gruppo i cripto-nazisti tedeschi di Alternative für Deutschland. Una decisione, quella della fondatrice del Rassemblement national, in embrione da tempo, perché sono mesi che la candidata alle presidenziali francesi del 2017 polemizza con Afd (persino sul piccolo arcipelago delle Mayotte, un dipartimento francese di fronte al Mozambico). Linea condivisa da Matteo Salvini, anche lui iscritto a Id. Così, ieri è stato formalizzato l’auf wiedersehen a quello che il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, definisce «un partito quasi neo-nazista». Peraltro con i voti decisivi della Lega, che oggi è la componente più corposa del gruppo (equilibri destinati a ribaltarsi a favore di Rn). Un voto che ha però diviso Identità e democrazia, perché gli austriaci di FPÖ e gli estoni di Eesti erano contrari, mentre i danesi di Df non hanno partecipato. Insomma, nonostante l’incredibile uscita sulle Ss naziste di Maximilian Krah - capolista di Afd, già additato di rapporti non trasparenti con Mosca e Pechino - la decisione è stata sofferta.
I riflettori, come è giusto che sia, sono quindi tutti per l’area dell’eurodestra, perché senza Afd è evidente che Id può diventare un interlocutore per Ecr e «avvicinare» le due famiglie. Circostanza che quasi certamente non inciderà sulla nomina del presidente della Commissione, ma che potrebbe invece condizionare il futuro Parlamento Ue. Però, come insegna la politica italiana, le elezioni si vincono al centro. E infatti c’è grande attenzione nel Ppe (lato centrodestra) e in Ecr verso le vicissitudini di Renew. Il via libera dei liberali olandesi di Vvd del premier uscente Mark Rutte all’accordo per un governo ad Amsterdam con l’anti-europeo Geert Wilders, ha acceso uno scontro interno senza precedenti che potrebbe portare all’espulsione del Vvd da Renew. Il gruppo macroniano è già dato dai sondaggi in caduta e ora c’è chi auspica dopo il voto la nascita di una componente liberale a trazione centrodestra (in contrapposizione a Renew). Un’operazione difficile, perché per formare un gruppo autonomo servono sette delegazioni diverse.
Intanto, continua la disfida europea tra centrodestra e destra. Con Le Pen che attacca Tajani: «Sorprende che ignori il nostro programma, noi non vogliamo uscire dalla Nato». Il vicepremier replica senza affondare il colpo: Le Pen è distante dai nostri valori. Ma siamo solo all’inizio e i decibel sono destinati a crescere.
Nel dibattito in Eurovisione di ieri tra spitzenkandidaten, il socialista Nicolas Schmit è arrivato a definire Id e Ecr (di cui Giorgia Meloni è presidente) «forze non democratiche», tanto che il capodelegazione di Fdi a Bruxelles, Carlo Fidanza, ha chiesto a Elly Schlein di «prendere le distanze». Decisamente distante la candidata del Ppe, la presidente uscente Ursula von der Leyen. Che invece ha teso la mano a Meloni: «Con lei ho lavorato molto bene. È pro Europa, contro Putin e per lo Stato di diritto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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