Una risata lo seppellirà. Anzi, lo ha già seppellito. Era il 2007 quando Steve Ballmer si sganasciava in tv durante un'intervista: «Cinquecento dollari per un lettore musicale senza neanche una tastiera per scrivere? Non c'è nessuna possibilità che questa cosa conquisti quote di mercato». Quella cosa era l'iPhone, e Ballmer ne parlava da amministratore delegato di Microsoft. Qualche anno dopo, bontà sua, ammise che si era sbagliato, ma a quel punto era già passato nel basket Nba come proprietario dei Los Angeles Clippers, grazie alla buonuscita che Microsoft gli versò dopo l'ennesima previsione sbagliata. Mentre l'iPhone quindici anni dopo è sempre vivo e vegeto. Basta controllare le quote di mercato.
La trasformazione di un semplice telefonino in un essere intelligente è tutta qui, in un mondo cambiato così in fretta da essere praticamente impronosticabile. Il telefono cellulare di allora non è più solo iPhone oggi, e la concorrenza tra aziende sempre più tecnologiche ha portato un oggetto, allora quasi alieno, ad essere invece un partner indispensabile delle nostre vite. E per farlo ha aggiunto anno dopo anno innovazione e funzionalità di cui non ne possiamo fare a meno, cannibalizzando prodotti che sono quasi o del tutto scomparsi dagli scaffali dei megastore. Insomma: l'iPhone è stato proprio il primo cannibale tecnologico della storia, e se vi guardate in giro al di là dei numeri di mercato che riportano dati tecnici il logo della Mela lo vedete dappertutto. In mano a una maggioranza di persone ormai immerse, con il resto dei possessori di smartphone, in un mondo alternativo.
Ma come siamo cambiati in questi 15 anni? Seguendo appunto un prodotto completamente nuovo che è diventato strumento di marketing: il desiderio. Prima che Steve Jobs presentasse orgogliosamente il suo «lettore di musica senza una tastiera» di smartphone se n'erano già visti, ma nessuno aveva mai voluto così intensamente averlo con (e per) sé. Il primo della Storia, per la cronaca nel 1992, si chiamava Simon e fu un'invenzione di Ibm: era una specie di parallelepipedo con un display neroverde che permetteva di chiamare, spedire fax e segnare gli appuntamenti in agenda, ed era rivolto al mondo degli affari. Poi arrivò Palm, che però non aveva funzioni di telefono (serviva da agenda elettronica e si potevano prendere appunti), che man mano si aggiunsero quando la concorrenza capì che quello strumento poteva avere un futuro. Senza rendersi conto però pienamente del suo potenziale. Saltando nell'album dei ricordi, il 1998 è l'anno del Nokia Communicator, iconico tuttofare che si piegava in due lasciando in una metà lo spazio per una tastiera tipo computer. E proprio alla fine del millennio ecco il BlackBerry 5810, il primo verso smartphone per un'azienda, la canadese Rim, che sembrò aver azzeccato la formula dell'eterna giovinezza. Non sarà così.
Il BlackBerry si era imposto subito tra i manager per la sua semplicità d'uso e per la possibilità di rimanere sempre in contatto con il lavoro: permetteva infatti di ricevere mail in tempo reale e già aveva sul display delle icone per arrivare facilmente a fare telefonate, appuntarsi le cose importanti, riempire l'agenda. Sotto c'era il famoso tastierino fisico che diventò indispensabile per lo Steve sbagliato, e non solo per lui. Il tutto per un dispositivo che aveva, segnatevi questo, 32 megabyte di memoria RAM (quella che fa girare i programmi quando lo si usa) e un processore da 144 megahertz. Fantascienza, sembrava. Poi...
Il 2007 appunto, il 9 gennaio a San Francisco: Steve Jobs presenta l'iPhone a San Francisco. E luce fu. Il Melafonino, così fu subito chiamato, era quello che la gente normale non sapeva di volere, ma che subito desiderò tantissimo. Pesava solo 135 grammi e come caratteristiche presentava una RAM da 128 Mb, una memoria interna fino a 32 Gigabyte e uno schermo da 3.5 pollici e mezzo (segnatevi anche questo, che poi ne riparliamo). «È solo l'inizio» recitava lo slogan di lancio, ed in effetti non poteva essere così, visto che dopo l'incredibile successo nel primo giorno di vendita ne furono venduti 512.000 pezzi, nel 2016 grazie ai successori si raggiunse il primo miliardo, nel 2021 si è andati oltre i 2 miliardi -, anche altre aziende si accorsero che il mondo era cambiato. Ed era tutto a portata di mano.
L'arrivo del sistema operativo Android di Google ha fatto il resto, lanciando brand diventati iconici e spaccando la tecnologia in due correnti di pensiero, tra chi esaltava il vivere nel sistema sigillato di Apple e chi invece voleva avere più libertà, non sapendo però che avrebbe finito per vendere se stesso ovvero i suoi dati a un business non ancora regolato dal punto di vista della privacy. Si è dunque creato un nuovo ecosistema economico, grazie a nomi come Samsung, Huawei (fino all'era Trump), Xiaomi, Sony, LG e poi altri brand come Oppo, realme, vivo e (di ritorno, ma con altre proprietà) Nokia e Motorola. E con l'arrivo di app e di servizi ecco la scomparsa progressiva di strumenti come calcolatrici, mappe e navigatori, fotocamere digitali e financo cabine telefoniche, sportelli bancari e intere catene di negozi. Un calcolo di desaparecidos tecnologici assolutamente approssimativo che in 15 anni sono stati assorbiti dal cannibale che abbiamo in tasca, diventato nel frattempo più grande e più potente. E che ha portato la sola Apple, per esempio, a fatturare 83 miliardi di dollari nell'economia delle applicazioni solamente nell'ultimo trimestre contabilizzato del 2022.
E noi? Noi a questo punto abbiamo imparato a contare per Giga, a pensare in megapixel (i piccoli puntini fotonici che stanno in un sensore fotografico), a parlare di nanometri dei processori. Che sono poi il metro di misura dei transistor, arrivati ad essere grandi 4 milionesimi di millimetro (e per il 2026 si punta a farli diventare 1). Il che vuol dire calcoli del processore supersofisticati, arrivati alla dimensione di 17 trilioni di operazioni al secondo (l'A16 di Apple) e destinati rapidamente ad aumentare. Perché, ovviamente, più piccoli saranno i transistor, più spazio ci sarà per metterne in un processore, anzi in un Soc ovvero System on a Chip - che è una vera piattaforma operativa in qualche centimetro quadrato. Nei quali, come nel caso del Google Tensor, ci si mette il motore dell'intelligenza artificiale, i processori di immagine per la fotografia computazionale e per la grafica, il gestore delle attività degli smartphone (in questo caso dei Pixel di Google) e i programmi di privacy e sicurezza. Tutto in formato mignon.
Poi appunto, come in tutte le cose umane, resta anche l'uso che se ne fa delle cose. E noi con naso puntato sempre all'ingiù (verso lo schermo), diciamolo, abbiamo un po' esagerato. Lo smartphone è diventato sempre più grande, sempre più sottile, perfino pieghevole e ormai un mai più senza. Ci viviamo, ci lavoriamo, ci divertiamo, ci innamoriamo, ce lo portiamo anche a letto anche se non si dovrebbe e intanto lui cerca nuovi limiti, che forse però cominciano ad arrivare, e qui casca il punto. Perché, per dire, per la felicità del marketing a getto continuo, il nuovo iPhone 14 Pro Max (se volete a questo punto fare un paragone con i dati di cui sopra) ha un display da 6.7 pollici e una memoria da 1 Terabyte, ovvero 30 volte quella del suo antenato di 15 anni fa. Ma ci sono anche smartphone con RAM da 16 Gb (circa 100 volte) e, da pochi giorni, con fotocamere da 200 megapixel. E il primo iPhone ne aveva 2.
La domanda allora è: dove si può arrivare?
Siccome tutto questo regge un business di centinaia di miliardi di dollari, la risposta fa paura: perché se alla fine si scoprisse che 15 anni dopo lo smartphone è diventato vecchio, allora sì che ci sarebbe poco da ridere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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