Fabris l’umile: «Vorrei il podio dei 10.000»

(...) sono felice e orgoglioso».
Forse quello che ha colpito di più, in un atleta che in fondo deve ancora compiere 25 anni (accadrà il prossimo 5 ottobre), è la capacità di programmarsi e di restare fedele al programma, quel dire martedì sera che il lavoro per Torino 2006 era iniziato quattro cinque anni prima: «Se ho un difetto, a parte una certa timidezza, è quello di essere fanatico del mio sport. Quando mi devo allenare non ce n’è per nessuno, nemmeno per amici e affetti. Ad esempio, dopo il secondo oro ho detto che ho tirato fuori energie che non credevo di avere, ma mi sono espresso male. Sapevo di averle, ma si trattava di vedere se riuscito a sprigionarle qui. I miei ultimi giri da podio nascono nella testa, senza la quale non reagisci quando capisci che stai soffrendo, e anche nelle gambe perché lavoro da tanti anni per questi risultati».
Sempre senza mai atteggiarsi a divo: «Non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori per l’educazione che mi hanno dato: severa ma non troppo. Mi hanno dato dei valori senza dannarsi per inculcarmeli a forza, chi fa così spesso ottiene effetti opposti». Tra questi valori non c’è una fede particolare: «Ho letto anche io che parlerei a lungo con don Carlo, il prete della spedizione azzurra, ma non è affatto vero. Devo essere sincero: lo ha detto mio zio che è don pure lui. Piuttosto è importante il corso che ho sostenuto a livello di Fiamme oro per diventare poliziotto ausiliario. Non so se riceverò una promozione, ma per capirci bene, a fine ciclo ci hanno detto che siamo inferiori alle formiche. È un modo diretto perché capissimo che dobbiamo restare umili nei confronti dei superiori e della gente civile. Per me l’umiltà è una dote fondamentale: se si è campioni nello sport, lo si deve essere anche nella vita. Adesso so che verrò lusingato e cercato ma io sono convinto che rimarrò lo stesso. Sono fiducioso: non mi farò rovinare da quelli che mi cercheranno per fare affari. Però è vero che adesso la testa non so dove sia finita, starà girando da qualche parte».
Domenica ripartirà da Torino con almeno tre medaglie in borsa, destinazione l’altopiano di Asiago: «Se riuscirò a raggiungere Roana, la cosa che farò prima di tutte le altre, sarà andare a salutare mia nonna Gina. Per la seconda dovrò attendere che la neve si sia sciolta. Solo allora potrò andare a camminare nei boschi con mio fratello. Lunedì a casa, poi martedì ripartirò per la coppa del mondo. Ho già messo in preventivo che alla prima sconfitta verrò criticato. Non scorderò mai la mail di un amico arrivata al villaggio: “Ciao, ti ho visto in tv e mi sei venuto in mente: mi puoi portare gli appunti di economia quando ci vedremo?”. Ecco, per me la bellezza del titolo individuale nasce dalla consapevolezza che lo hai vinto tu, è una sensazione tutta tua: sai di essere il primo al mondo, questo per favore detto senza arroganza, è lo sport. Poi però un compagno di corso ti chiede gli appunti, come fosse un giorno qualsiasi. Ecco cosa intendo per fare le cose con umiltà e senza tirarsela».


E quando se ne starà per andare a seguire Chiara Simionato in gara, la domanda sul doping, serve nel pattinaggio? «A parte che si è supercontrollati, qui dopo la gara e di nuovo la mattina successiva, uno può prendere tutto quello che vuole, ma se non sa pattinare bene resta indietro, inchiodato al ghiaccio. Io stesso so di avere ancora margini di miglioramento, ad esempio non sono ancora maturo per un vero, grande diecimila, però punto lo stesso al podio».

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