Gabriella Terragni Chailly: "Faccio tutto io, musica a parte Per lui il denaro non esiste"

Vive con il Maestro da 40 anni, «eppure pensavamo non sarebbe durata Dopo la prima della Scala fuggiamo in montagna in piena notte»

Gabriella Terragni e Riccardo Chailly
Gabriella Terragni e Riccardo Chailly

È una residenza razionale, alla Portaluppi, eppure calda. Preziosa nei dettagli: sobriamente chic. Arredi design, pareti affrescate, un trionfo di libri, di dischi, di pianoforti. E di quadri d'arte contemporanea, da Corneille a Ga (vi sveleremo di chi si tratta). Si impongono tre ritratti di famiglia. Sono gli Chailly, gli avi di Nancy che per onorato servizio a Napoleone Bonaparte ricevettero terre e titoli. Poi l'incontro con una dama ferrarese virò verso l'Italia l'ultimo ramo dell'albero gallico.

La casa si articola in spazi ariosi verandati sul verde. Uno è un atelier di pittura con lavori esposti, altri in fieri, una ridda di pennelli e tazze di colore. Che il direttore d'orchestra sia pure pittore? Per la verità, quella è la bottega della moglie, Gabriella Terragni, Ga appunto, l'inseparabile compagna di vita e d'avventure artistiche. Assieme hanno affrontato il decennio di direzione a Berlino, quindi ad Amsterdam e a Lipsia. Ora sono nella nativa Milano. Il maestro v'è tornato da numero uno: alla direzione musicale del Teatro alla Scala.

Gli Chailly sono una coppia autenticamente milanese, riservata e discreta. Che relega in una stanzetta onorificenze e premi, le medaglie al valore d'una attività lunga quasi mezzo secolo, e sempre in vetta. È la prima volta che Gabriella Terragni si apre e racconta il consorte Riccardo. Una narrazione ironica e affettuosa, dalla quale affiora la verità di un uomo cordiale ma ritroso a parlare di ciò che non attenga strettamente al pentagramma. Grazie a Ga scopriamo qualcosa di più.

Come sono i vostri day after di una prima? Cosa succede, per dire, dopo gli attesissimi 7 dicembre?

«È la calma dopo una tempesta. Un battesimo avvenuto, un qualcosa che finalmente ha preso il via. Ci si sente stanchi ma anche un po' rilassati. Ci godiamo quest'ozio emotivamente ricco. Non posso comunque paragonare il mio genere di stanchezza a quello di mio marito. Per Riccardo continua l'analisi con se stesso, la riflessione su quanto fatto. Da 40 anni viviamo così».

Ovvero, da quando vi siete conosciuti: dove e quando esattamente?

«A casa di amici, nel 1978. Iniziammo a vivere insieme nel 1980 convinti che non sarebbe durata. Era stata una gran cotta, tale da non sembrare reale. Per giunta arrivavamo entrambi da una separazione, ed entrambi ci eravamo sposati ragazzini».

Stesso punto di partenza, quindi massima comprensione

«In realtà la mia separazione fu una tragedia, per me e i miei genitori. Uno schianto. Per Riccardo la separazione fu indolore. Io ero convinta che non mi sarei più risposata, mentre Riccardo era più aperto di me. Infatti appena ottenuto il divorzio, mi chiese di sposarlo».

E lei si dovette ricredere.

«A dire il vero, le cose andavano bene così, vivevamo a modo nostro. Quindi gli risposi: Perché sposarci?. Lui ci rimase così male che ancora oggi me lo rinfaccia. Comunque assentii il giorno stesso».

In coppia ci si compensa. Lei in cosa sente di compensare Riccardo Chailly?

«Aggiungo una s. Lui mi scompensa. E quando glielo dico, anzi urlo, mi risponde con calma yoga: Gabriella, non bestemmiare».

In che senso scompensa?

«Riccardo si occupa di musica, io di tutto il resto. Col tempo ho acquisito gli strumenti per seguire la gestione di tutto, ma non mi piacciono queste incombenze, faccio però di necessità virtù. Lui non ha rapporti con la praticità e con il denaro. Firma le carte di credito senza leggere, per fortuna si tratta soltanto di ristoranti e di libri».

È lei l'anima pratica della coppia.

«Non ho scelta. Riccardo si trova bene così».

Pur con qualche senso di colpa?

«Ma neanche tanto grave. Però, poi lui compensa con gesti molto carini, e mi passa sempre tutto, subito».

Esempi di carinerie?

«Non appena si sveglia, Riccardo è subito brillante. Io invece sono più lenta nel riprendermi dal sonno. Allora mi aiuta a risvegliarmi chiacchierando. Parliamo di tutto tranne che di lavoro: dei nostri figli, nipoti, amici, progetti».

Cosa state progettando?

«Vorremmo visitare i piccoli borghi italiani. Abbiamo sempre viaggiato tanto ma per lavoro e sempre in grandi città. Ci mancano tanti pezzi d'Italia. Avremmo questo piccolo sogno. Tutto sta nell'organizzarsi».

Oltre a questa residenza a Paderno Dugnano, avete un nido in Engadina e in Liguria.

«Dove si scappa appena si può. Entrambi sono immersi nella natura. La casa in Svizzera è a 1800 metri d'altitudine. Riccardo più sale e più si libera dagli affanni, le altezze lo aiutano nella decompressione. A contatto con la prepotenza della natura, riesce a liberarsi del suo mondo. Ci capita spesso di imbatterci in animali selvatici. Ricordo l'incontro con un bambi enorme, era vicino al garage, sembrava un monumento. Ci tramortì per la bellezza».

È vero che andate nei vostri rifugi anche dopo uno spettacolo, nella notte fonda?

«Capita spesso. E anche dopo prime della Scala. Riccardo ama guidare in generale e in particolare dopo aver diretto. Al volante si scarica».

Appassionato di motori?

«Molto. Un tempo aveva anche una moto, poi rischiò le braccia e a quel punto gli chiesi di chiudere con le due ruote. Fu una richiesta molto decisa».

Altri svaghi?

«La bicicletta a 12 cambi, un regalo dei figli. Gli piace andare a spasso con nostro nipote. Il ragazzo davanti e il nonno dietro».

È il nipotino che segue il nonno dal palchetto della Scala e poi si fionda in camerino?

«Sì, lui e la sorella studiano violoncello, sono musicalissimi. Basta un ascolto e riproducono la melodia al violoncello o al pianoforte».

Come è Riccardo Chailly padre e nonno?

«È d'una morbidezza indescrivibile. Spesso gli dico che dovrebbe smetterla di fare l'amico di tutti in famiglia, bisogna anche assumere il ruolo del padre quando serve. Ma lui trova naturale fare così, quindi sono io a prendermi questo incarico».

Come è prima di andare in scena?

«Durante il giorno si riposa. Più è impegnativa la serata e più riesce a dormire: non so come faccia, ma lo fa puntualmente. È tranquillo fino a tre minuti prima di raggiungere il podio. Poi si avverte una tensione da concentrazione che si taglia col coltello. A quel punto preferisco lasciarlo solo».

La carriera di Chailly è partita subito, e con incarichi importanti e continuativi. Tutto questo quanto ha influito sulla vostra libertà di coppia?

«Quando ci siamo conosciuti, Riccardo non aveva direzioni musicali. Era un artista libero, c'era un grande senso di libertà. Tempo un paio d'anni e gli venne offerto l'incarico di Berlino. Da allora ha avuto direzioni musicali lunghe e impegnative. Non ha mai avuto il tempo di desiderare o chiedere, è sempre arrivato tutto a sorpresa con telefonate che stupivano noi per primi».

Compresa quella di Herbert von Karajan che gli offriva l'inaugurazione del Festival di Salisburgo.

«Ricevetti io quella telefonata. Ero convinta che fosse lo scherzo di un cantante. Cappuccilli, per dire, amava fare burle. Così chiamai Riccardo dicendo che l'aspettava il solito scherzo. Poi riconobbe subito la voce del Maestro».

Poi fu la volta di Amsterdam.

«Al Concertgebouw avevano apprezzato Mahler e Bruckner fatto a Berlino. La scelta di un direttore musicale è seria, si basa sulla serietà della persona e sulle sue attitudini musicali. A colpire il Gewandhaus di Lipsia erano stati i Romantici tedeschi e Bach affrontati in Olanda».

Quindi la Scala.

«data l'attitudine per l'opera lirica e l'attenzione ai compositori italiani. Ogni offerta è arrivata nel momento in cui si stava completando un percorso. Timing perfetto direi».

E che dire del capitolo delle offerte declinate?

«Sono state e sono tante. Penso a orchestre americane importantissime, richieste però arrivate in periodi in cui Riccardo era già molto impegnato. Lui è uno che ha bisogno di credere fino in fondo a un progetto, quindi ha bisogno dei tempi giusti. Poi si tuffa con una passione travolgente, è un torrente in piena che ti viene addosso».

Investendo anche lei?

«Scampare a tutto questo è molto difficile, anche perché lui vuole comunicarmi tutto, praticamente mi ossessiona. Quando decise di dirigere la Passione secondo Matteo di Bach, partitura che studiava da anni, vi si dedicò con una tale dedizione che manco si faceva più la barba. Ne era ossessionato giorno e notte».

E lei come supera questi momenti?

«Quando li supera lui sciogliendo i suoi nodi interpretativi. L'esecuzione è la mia vera compensazione, mi gratifica e mi riempie ascoltare mio marito dirigere».

Anche perché lei segue tutto il processo, prove comprese.

«Noi condividiamo più o meno tutto, compresa l'emozionalità del lavoro. Però nel suo lavoro non intervengo. Sono spesso con lui, ma nel ruolo di ospite, il mio tempo non viene speso nell'attesa, ma nell'ascolto. A cose finite ho le mie opinioni: chiare e molte. Tuttavia non entro nel merito. Ne ho abbastanza degli uffici che frequento, me ne guardo dall'entrare nei suoi. E poi ho troppo rispetto per la sua persona e per le sue scelte. Riccardo è proprio una brava persona, lo dico sinceramente».

Come è stata la vita in giro per il mondo, lontani dall'Italia?

«A un certo punto diventi cittadino del mondo, stai bene ovunque. In casa nostra le valigie si fanno in 5 minuti: pronti e via. Però devo ammettere che a ogni partenza ho avvertito la sindrome dell'abbandono».

Stessa reazione anche per suo marito?

«È sempre stato così coinvolto dai progetti che l'aspettavano che le sue partenze non sono state accompagnate da malinconie, sono state un po' smaniose. Dice che portando me, si porta la casa. Però anch'io, una volta arrivata in una nuova città mi sono sempre trovata bene, inserita e coinvolta».

Quanto è studioso Chailly?

«Al massimo grado. Per questo non ha particolari ansie il giorno dell'esecuzione pubblica. Arriva sempre preparato. Lui dice che dirigere è solo l'ultimo atto. Lo capisco, io ho lo stesso atteggiamento con la pittura. Non provo gioia per l'ultima mano di fissativo, ma per quello che è accaduto prima».

Riesce a coinvolgerlo nella sua passione per la pittura?

«Dipende dai momenti. Se è molto coinvolto in qualcosa, accade che io gli parli, lui mi risponde ma di fatto non ascolta. Allora scatta la scintilla, mi arrabbio, e con altrettanta velocità ritorna la calma. È sempre stato così».

Non è enorme questa casa per voi due?

«Quando possiamo, la condividiamo con amici e familiari. Ci piace avere qui tutta la famiglia, ridere e scherzare. I nipoti poi sono fantastici».

Capita che lei cucini?

«Se ho tempo sì. Mi piace molto cucinare soprattutto ciò che è complicato e stagionale».

Quanti siete in famiglia?

«Ci sono i nostri figli Alessandro, dal mio primo matrimonio, e Luana, da quello di Riccardo. Sono cresciuti assieme, e sono molto legati. Alessandro, mia nuora e i due nipoti vivono a pochi metri da noi. Luana lavora a Valencia».

Siamo alle porte di Milano. Residenza bellissima, ma non sarebbe comodo stare a un passo dal teatro?

«Io sono pratica, quindi

per me potrebbe funzionare questa soluzione. Riccardo invece ama sì frequentare le città, ma non viverle. Milano ci piace molto. Abbiamo ripreso a frequentare cinema e teatri, non era facile seguire il teatro in olandese».

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