FANTI E FANTOCCI

La storia della guerra moderna ci consegna un paio di lezioni che bisogna tenere a mente per capire i problemi della futura missione italiana in Libano. Romano Prodi ieri ha ribadito che «sarà una missione di pace», frase volutamente equivoca che non spiega qual è la partita che si sta giocando all’Onu. Molto più chiaro è stato il ministro della Difesa Arturo Parisi che ha definito la missione in quattro parole: lunga, impegnativa, costosa e rischiosa.
Per capire che cosa ci attende in Libano, occorre mandare a memoria la lezione che ci viene dal Kosovo, dall’Irak, dall'Afghanistan, dalla Cecenia, dalla Somalia: le campagne aeree da sole non portano alla vittoria. Per vincere una guerra - e mantenere la pace - occorre far calcare gli stivali dei soldati sul terreno. Il conflitto moderno, con l'uso massiccio di forze aeree e navali sembrava aver ridotto l'importanza del foot soldier, del fante. Ma la storia si è presa la sua rivincita sulla tecnologia e la fanteria oggi è la chiave per aprire (e soprattutto chiudere) la porta della guerra. Le operazioni aeree e navali assicurano «perdite zero», quelle di terra sono una roulette russa perché i soldati ingaggiano il nemico, diventano obiettivo e spesso muoiono.
Sono questi i pensieri che ora si agitano nelle cancellerie europee. Al confine tra Libano e Israele la storia ci insegna che dopo un paio di mesi la tregua si deteriora. È a quel punto che la fanteria «in missione di pace» rischia di essere tra due fuochi (hezbollah ed esercito israeliano) che usano confrontarsi con attacchi missilistici, raid aerei e sconfinamenti sulle postazioni Onu. La storia della missione Unifil ne è la prova e le sue 257 croci sono un rosario sinistro per i governi.
Le Nazioni Unite ieri hanno chiamato l’Europa a «fare la sua parte», ma la risposta corale del Vecchio Continente per ora non c’è. È la dimostrazione che gli «onusiani» europei senza gli Stati Uniti sono incapaci di agire. E l’Onu oggi chiede soldati, non parole.
La Francia di Chirac - che nel 1983 perse in Libano 53 parà - è in bilico: chiede il comando della missione ma a rischio zero. L'Eliseo invia 200 genieri e conferma i 1700 uomini dell'operazione aerea e marittima «Baliste», ma non vuole impiegare truppe di terra. La Germania ha deciso di limitarsi alla spedizione di navi e doganieri. La Spagna è sul chi vive e il suo contingente sarebbe al massimo di 600-800 uomini. Risultato: tutti al mare o a mezz’aria, nessuno vuole schierare la fanteria.
Restano in ballo tre Paesi islamici (Nepal, Indonesia e Malesia) e - ironia della sorte per la sinistra pacifista - l'Italia che ora si trova nella scomoda posizione di chi ha già detto frettolosamente sì alla missione e dovrà inviare una brigata intera (circa 2500 soldati) nel sud del Libano. Se la situazione all'Onu non si sblocca e la Francia continua a fare catenaccio, l'Italia sarà il principale contributore in termini strategici e per questo il ministro della Difesa Parisi ha ipotizzato un comando italiano della missione. Si tratta di un ragionamento teoricamente giusto, ma il rischio è altissimo.

Se l'Onu non trova una soluzione seria, alla fine sarà l'Italia messa con le spalle al muro a inviare la fanteria, saremo noi ad essere nel mirino di gruppi di terroristi, fantocci tra i due fuochi di un nuovo scontro tra Israele e Hezbollah. A quel punto, bisognerà soltanto sperare che non premano il grilletto.

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