Mieloma multiplo, il nuovo farmaco che dà speranza

Un nuovo alleato nella lotta contro questo tumore che colpisce le plasmacellule nel midollo osseo: così si allunga la speranza di vita

Immagine istologica di plasmocitoma (Wikipedia)
Immagine istologica di plasmocitoma (Wikipedia)
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Nella lotta contro il mieloma multiplo - un tipo di cancro che colpisce le plasmacellule - si aggiunge una nuova arma, un farmaco recentemente approvato da Aifa che dovrebbe migliorare la qualità di vita delle persone ammalate, rallentando la progressione della patologia. Questo medicinale dovrebbe aggiungersi al trattamento standard, e la speranza è che possa dare maggiori speranze ai pazienti.

Cos'è il mieloma multiplo

Partiamo cercando di capire di che tipo di tumore stiamo parlando. Il mieloma multiplo è una neoplasia che interessa le plasmacellule, ossia quelle cellule appartenenti al sistema immunitario che si trovano in larga parte nel midollo osseo. Il loro compito è quello di produrre anticorpi, ma in caso di malattia, le cellule tumorali vanno a sostituirsi, causando danni. Si tratta, pertanto, di un tumore ematico e linfatico, che colpisce prevalentemente i soggetti anziani (sono pochi i casi di under-50).

Ad oggi non se ne conoscono le cause effettive, e diversi studi sono ancora in corso. I sintomi vanno dal dolore diffuso alle ossa, all'insufficienza renale, fino ad arrivare all'ipercalcemia, l'astenia, la neuropatia, l'amiloidosi e l'anemia. Attualmente il mieloma multiplo viene considerato una malattia non guaribile ma trattabile. La medicina interviene per rallentare il progredire della patologia, o per cronicizzarla. Uno dei trattamenti maggiormente utilizzati sino ad ora è stata la combo daratumumab, lenalidomide e desametasone.

Il nuovo farmaco

Con questo nuovo farmaco, recentemente approvato da Aifa, viene a modificarsi la terapia standard per questo tipo di tumore. Il medicinale di cui stiamo parlando è il selinexor prodotto da Menarini stemline, da somministrare in associazione al bortezomib e al desametasone. Il selinexor è un inibitore orale selettivo della proteina XPO1 e può essere impiegato in quei casi in cui i pazienti sono stati sottoposti ad almeno quattro terapie precedenti e la patologia si è dimostrata refrattaria ad almeno due inibitori del proteasoma, a due agenti immunomodulatori e a un anticorpo monoclonale anti-CD38. Stando a recenti studi, questo nuovo farmaco, se somministrato alla prima recidiva, è in grado di allungare la sopravvivenza del paziente di almeno 21 mesi, a differenza dal precedente trattamento (bortezomib e desametasone), che invece garantiva 10, 7 mesi. Si è in sostanza ridotto il rischio di decesso al 38%.

Si tratta di un importante passo in avanti, se si considera che ogni anno vengono fatte 5.800 nuove diagnosi di mieloma multiplo. "Selinexor è il capostipite di una nuova classe di farmaci, gli inibitori della proteina di esportazione nucleare 1, XPO1. Ha un meccanismo d'azione unico, che induce l'apoptosi, cioè la morte programmata, nelle cellule mielomatose. In una sottoanalisi dello studio BOSTON, Selinexor in associazione a bortezomib e desametasone si è dimostrato più efficace rispetto a bortezomib più desametasone, migliorando di oltre 10 mesi la sopravvivenza libera da progressione mediana e i tassi di risposta nei pazienti alla prima recidiva. Da evidenziare anche i vantaggi in termini di qualità di vita dei pazienti, grazie alla somministrazione monosettimanale di bortezomib, con una riduzione degli accessi in ospedale per ricevere la terapia", ha spiegato a Il Corriere il professor Michele Cavo, direttore dell'Istituto di Ematologia Seràgnoli, IRCCS S. Orsola-Malpighi e docente ordinario di Ematologia presso l'università di Bologna.

Una speranza dopo le ricadute

Il dottor Cavo ha sottolineato l'importanza che questo farmaco potrebbe avere nel trattamento nei pazienti in cui si sono verificate delle ricadute, o refrattari. "Questi dati sono molto importanti nel contesto della seconda linea di terapia, perché attualmente la popolazione in prima linea non candidata per un trapianto autologo è rappresentata prevalentemente da pazienti non trattati con un inibitore del proteasoma. Un'ulteriore analisi di sottogruppo dello studio BOSTON ha riguardato pazienti refrattari a lenalidomide, una popolazione difficile da trattare e in continuo aumento nella pratica clinica.

I risultati hanno evidenziato un miglioramento significativo di circa 8 mesi della sopravvivenza globale mediana e di 3 mesi della sopravvivenza libera da progressione mediana, con un rischio di progressione o di morte quasi dimezzato", ha aggiunto. "A oggi questa associazione rappresenta l’unica opzione disponibile nella quinta linea di terapia, cioè in una popolazione pesantemente pretrattata e fragile".

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