Scoperto nei primi anni Ottanta, il virus Hiv (responsabile dell'Aids) è il patogeno più studiato, nella storia della medicina. Ancora molto diffuso (il numero delle nuove diagnosi non cala, in Italia sono state oltre 2800 nel 2013), ma decisamente meno killer rispetto al passato (la mortalità si attesta al di sotto del 5 per cento, principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate).
La lotta per sconfiggerlo, non si ferma. Si cercano nuove armi terapeutiche di gestione a lungo termine dell'infezione. Novità arrivano da Boston (Usa), dalla 21° Conferenza annuale sui retrovirus che riunisce oltre tremila specialisti. Forte il contributo della ricerca italiana. Un farmaco antiretrovirale, made in Italy, scoperto nei laboratori di Irbm e sviluppato da Msd (raltegravir, capostipite degli inibitori dell'integrasi, l'unico finora approvato in Italia di questa classe di farmaci), è stato confrontato per la prima volta, con gli inibitori della proteasi (atazanavir o darunavir), farmaci importanti e finora di riferimento per la terapia antivirale. In un ampio studio clinico, randomizzato, indipendente (condotto su 1800 pazienti con Hiv, mai trattati in precedenza), l'inibitore della integrasi ha dimostrato superiorità, nell'obiettivo combinato. «Raltegravir presenta un meccanismo d'azione e un profilo di tollerabilità che lo collocano al vertice di tutto quello di cui disponiamo oggi», sottolinea il professor Giovanni Di Perri, infettivologo all'università di Torino,precisando che la sua velocità d'azione nell'inibire il virus già dalle prime settimane e la sua capacità di mantenere nel tempo questo effetto, facilitano l'aderenza al trattamento. La sua elevata compatibilità con altri farmaci ne fanno l'antiretrovirale migliore per il medico e per il paziente. La continuità della terapia è un elemento chiave nel trattameto della malattia da Hiv.
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